venerdì 1 novembre 2013

Un dipendente di una banca subisce il licenziamento, si difende sostenendo di essere affetto da sindrome acquisto compulsivo.



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Svolgimento del processo
La Corte di appello di L'Aquila con sentenza  confermava la legittimità del licenziamento intimato ad un dipendente Carispaq che prestava  servizio in un'Agenzia  dell'Aquila,  per l'emissione di assegni protestati tratti sul c.c. presso la detta Agenzia, respingendo l'appello.
La Corte territoriale rilevava la  gravità del comportamento tenuto dal dipendente, considerate le mansioni espletate di cassiere ed osservava che la sindrome lamentata dall'appellante, di compulsione all'acquisto, appariva non pertinente a giustificare il comportamento contestato, in quanto l'emissione degli assegni era avvenuta in tempi diversi dalla asserita patologia.

Peraltro l'imputato aveva spiegato in primo grado il proprio comportamento allegando di aver dovuto pagare delle rate con una finanziaria; l'imputato in occasione di precedenti contestazioni non aveva mai allegato di soffrire di tale sindrome, ma si era giustificato con la necessità di coprire posizioni debitorie dovute a propri errori di valutazione.
Si riteneva, "tenuto conto della mansioni svolte il fatto era certamente idoneo a minare il rapporto fiduciario posto che poteva ledere anche l'affidamento dei clienti nella Banca e nella correttezza dei suoi funzionari."
Contro tale decisione l'imputato ha proposto ricorso in Cassazione con due motivi; resistente la Cassa di risparmio della provincia dell'Aquila spa.

Motivi della decisione
Primo motivo dell'imputato: la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti nazionali di lavoro; non era stata valutata la proporzionalità ed adeguatezza della sanzione comminata .
Per la Corte il motivo ha presentato  profili di inammissibilità, ritenendo che in ogni caso la Corte territoriale aveva esaminato il profilo denunciato nel motivo; ha osservato che l'episodio contestato era indubbiamente di notevole gravità tenuto conto anche delle mansioni di cassiere svolte.
La Corte territoriale aveva anche accertato che "le giustificazioni offerte dal lavoratore per attenuare sul piano soggettivo la propria responsabilità apparivano non pertinenti e poco credibili". Pertanto ha ritenuto il Giudice di merito che la valutazione sulla proporzionalità ed adeguatezza della sanzioni inflitta in rapporto ai fatti contestati esser stata compiuta e motivata sulla base di un riferimento puntuale alle emergenze probatorie ed  immune da vizi logici e/o argomentativi.
Secondo  motivo dell'imputato:  contraddittoria ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio; l'imputato era affetto da una grave patologia che lo aveva portato a commettere i fatti contestati; di aver evitato che si verificassero pregiudizi economici di sorta, che in effetti la Banca o i suoi clienti non avevano sofferto.
La Corte di merito si è quindi espressa così ritenendo: il motivo  infondato perché le dedotte circostanze del ricorrente, "tali da attenuare sotto il profilo soggettivo la gravità del fatto sono state dettagliatamente esaminate dalla Corte di appello che ha escluso che la sindrome sofferta sia stata determinante per la decisione dell'emissione degli assegni tratti su altro conto corrente e poi protestati", anche perché l'acquisto compulsato risultava effettuato anni prima e  l'imputato non aveva mai allegato nel corso di procedimenti disciplinari di analoga natura di soffrire della malattia attestata attraverso certificazione medica;  la motivazione congrua e logicamente coerente mentre le censure inammissibili.
La Corte ha pertanto rigettato il ricorso, condannando parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.
vedi: Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 2013, n. 23598

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