, Giornalettismo 16 dicembre 2013.
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La norma che introduce la «Web tax» prevede che servizi e prodotti online di multinazionali del web potranno essere acquistati, in Italia, solo «da soggetti titolari di una partita Iva italiana»: giganti come Google dovranno sottostare a questa norma.
Appare contraddittorio che da un lato si varino misure fiscali e di semplificazione per attrarre gli investimenti esteri verso la «Destinazione Italia», dall’altro si vada nella direzione opposta introducendo nuove tasse. La web tax è stata commentata dall’American Chamber of Commerce in Italy come «danno di immagine all’Italia ».Il commento non implica che la lobby degli interessi americani abbia ragione quando lamenta «il tentativo di assoggettare le aziende digitali estere alle normative fiscali italiane». Non è certo pacifico che debbano essere esentate.Vanno semmai cercate soluzioni europee, di quella parte d’Europa che non sostiene i paradisi fiscali.
L'Italia trova queste idee "originali" per colmare l'esigenza di riempire le casse dello stato sempre a corto e regolamentare la voragine fiscale che la globalizzazione e il mercato del web hanno aperto in Europa: la cd. asimmetria fiscale che permette alle società multinazionali o alle holdings di poter filtrare gli utili e scegliere la tassazione loro più adatta (paradisi fiscali); l'incapacità politico economica europea di determinare una tassa unica per le transazioni web e la raccolta pubblicitaria derivata dal mercato.
Gran parte di queste società, alla pari con le holdings finanziarie, hanno scardinato i confini e distorto le normative per conseguire i loro lucrosissimi utili. Il punto di forza economico delle società del web è nel principio della corrispondenza tra sede legale e posizionamento fisico dei server che gestiscono i flussi economici. Le società di web marketing ed advertising seguono lo stesso percorso.
Difficile tassare i giganti del web: in Italia ed in altri stati europei hanno solo società di servizi e partners commerciali. Alcune le controllano direttamente per gestire i servizi correlati, tipo Amazon per la logistica, altre partecipano come intermediarie e vengono quindi tassate solo sulle provvigioni. In Inghilterra ci hanno provato tassarli senza riuscirci (vedi: "Perchè la web tax è un problema europeo" di Ardian Foti, Formiche.net)
Video YouTube - Avv. Guido Scorza
(avvocato esperto di Internet, diritto e politica dell'innovazione)
Pubblicato in data 15/dic/2013
"Dopo la delibera AgCom sul copyright
che consente lo sbarco in rete delle lobby dell'editoria, le quali
avranno la possibilità di rimuovere in pochissimi giorni i contenuti web
a loro sgraditi senza passare per la magistratura, Guido Scorza
(avvocato esperto di Internet, diritto e politica dell'innovazione)
annuncia che ci avvarremo di ogni mezzo, a cominciare dai ricorsi
amministrativi fino ad arrivare alla Corte Europea, per fermare un
cavallo di troia verso le libertà della rete che non ha equivalenti in
nessun altro Paese del mondo".
VIDEO YOUTUBE. WEBTAX: INTERVISTA ALL'AVV. FULVIO SARZANA
"L'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, l'AGCOM, ha deciso di far sì che gli editori e le televisioni possano cancellare in sole 72 ore i contenuti presenti sul web, anche interi siti, senza nessun vaglio della magistratura, con una semplice segnalazione. Con la scusa del diritto d'autore, l'obiettivo ancora una volta è il controllo e la censura dell'informazione libera. Una norma simile non esiste in nessun altro Paese del mondo. Se il Parlamento non interviene, la delibera sarà operativa entro un mese e mezzo. Claudio Messora intervista Fulvio Sarzana, avvocato esperto di tematiche legate alla rete"
VIDEO YOUTUBE. WEBTAX: INTERVISTA ALL'AVV. FULVIO SARZANA
"L'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, l'AGCOM, ha deciso di far sì che gli editori e le televisioni possano cancellare in sole 72 ore i contenuti presenti sul web, anche interi siti, senza nessun vaglio della magistratura, con una semplice segnalazione. Con la scusa del diritto d'autore, l'obiettivo ancora una volta è il controllo e la censura dell'informazione libera. Una norma simile non esiste in nessun altro Paese del mondo. Se il Parlamento non interviene, la delibera sarà operativa entro un mese e mezzo. Claudio Messora intervista Fulvio Sarzana, avvocato esperto di tematiche legate alla rete"
Fonte notizia: L'uomo più ostile a Internet
pubblicato il 17.12.2013 da Claudio Messora; byoblu.com
Una sintesi dell'articolo
La Commissione Bilancio alla Camera ha approvato un emendamento di Edoardo Fanucci (Pd) alla Legge di Stabilità, sostenuto dal presidente della Commissione Francesco Boccia (Pd), che istituisce la cosiddetta Web Tax: «i soggetti passivi che intendano acquistare servizi online, sia come commercio elettronico diretto che indiretto, anche attraverso centri media ed operatori terzi, sono obbligati ad acquistarli da soggetti titolari di una partita Iva italiana».
Significherà che dal prossimo mese di aprile 2014 non potremo più acquistare merce o software o servizi da siti che non abbiano aperto una partita Iva italiana. Da Amazon a Google (compresa Facebook) a qualunque altra impresa anche piccola, magari operante dall'altra parte del globo: così il servizio che sarà disponibile agli altri cittadini europei, fornito magari da una piccola società del Michigan, a noi sarà precluso, essendo nei fatti impossibile dall'estero espletare tutte le pratiche previste dalla burocrazia italiana per sobbarcarsi l'onere di una posizione fiscale nel Paese più tartassato e oberato di scartoffie amministrative del mondo civilizzato.
E' ipotizzabile che anche i giganti del web, che trovano nell'Italia un mercato del tutto marginale, possano abbandonarlo per concentrarsi su territori meno oscurantisti e più redditizi. Oggi i colossi digitali fatturano nei paesi fiscalmente più convenienti, come l'Irlanda, ma nell'era dell'integrazione politica a tutti i costi, vuoi vedere che l'unica soluzione che non si può trovare a livello comunitario è quella di un riequilibrio delle politiche fiscali?
La scure della "Santa Inquisizione democratica": nel Consiglio dei Ministri di venerdì scorso, già noto come "venerdì 13", il governo ha varato un decreto che sferza un altro colpo sui motori di ricerca e sulla stessa libertà di informazione. Viene incredibilmente sancito che prima di "linkare, indicizzare, embeddare, aggregare" un contenuto giornalistico è necessario chiedere il permesso all'editore.
Avete inteso bene: si riferiscono ai provider di ricerca che indicizzano le ultime notizie per poi rimandarvi eventualmente alla fonte (viene in mente Google News). Ora dovranno stringere accordi preventivi con gli editori, accordi che si possono immaginare economicamente svantaggiosi. Ma se quel "linkare ed embeddare" evoca sinistri presagi che aleggiano sui blog, i quali si ritroveranno a domandarsi se possono ancora inserire collegamenti ipertestuali agli articoli dei giornali, o citarne stralci, senza dover essere costretti a firmare improbabili contratti con Rcs o con il Gruppo Editoriale l'Espresso. Un inesplicabile duro colpo allo sviluppo della cultura della circolazione delle informazioni, attuato per decreto e senza il coinvolgimento del dibattito parlamentare.
Così come senza alcun dibattito parlamentare si è consumato una vero e proprio atto autoritario, antidemocratico e probabilmente incostituzionale, perpetrato dall'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, che il 12 dicembre ha varato una delibera e che consegna la libertà di pensiero al suo antagonista storico, l'insieme dei gruppi di pressione che tutelano il copyright, eliminando con un colpo di spugna l'attribuzione del potere giudiziario ai magistrati.
Riproduzioni non autorizzate di "un'opera, o parti di essa, di carattere sonoro, audiovisivo, fotografico, videoludico, editoriale e letterario, inclusi i programmi applicativi e i sistemi operativi per elaboratore, tutelata dalla Legge sul diritto d'autore e diffusa su reti di comunicazione elettronica", potranno essere segnalate all'Agcom che nel giro di pochi giorni potrà ordinare agli internet provider di oscurarla o rimuoverla.
A chi si illudeva che il nostro Paese, un giorno, avrebbe visto la nascita di un principio come quello del Fair Use, in vigore altrove, che consente ai cittadini di diffondere stralci di opere protette dal diritto di autore al fine di realizzare un dibattito o di stimolare una discussione attinente, la delibera Agcom appena emanata toglie ogni speranza.
Tutto, qualunque contenuto presente in rete, secondo le definizioni di cui sopra, potrà essere oggetto di rivendicazione da parte degli editori. "Un video su internet che contiene spezzoni di un telegiornale o di un servizio giornalistico, una foto pubblicata su un blog, anche se modificata in senso umoristico, magari elaborata a comporre un fotomontaggio, uno stralcio di articolo tratto da un giornale, l'audio del saggio di pianoforte di vostra figlia nel quale l'editore dello spartito riconosce l'uso della diteggiatura da lui depositata, tutto potrà risultare in una segnalazione effettuata all'Agcom che potrà ordinare al vostro hosting provider, o magari a YouTube, di cancellare il vostro blog in tutto o in parte, così come il vostro video". E poiché il provider o il fornitore di servizi di condivisione che nel volgere di pochissimi giorni non dovesse ottemperare, si troverebbe a pagare una sanzione che può arrivare fino a 250mila euro, si può tranquillamente scommettere sul fatto che le segnalazioni inoltrate dall'Agcom verranno immediatamente tradotte nella rimozione dei contenuti controversi, e magari nell'oscuramento di tutto il sito. Interi blog di informazione, pieni di citazioni, di clip multimediali e di composizioni fotografiche, potrebbero scomparire dal prossimo 1 di aprile, data di entrata in vigore della normativa. Scavalcando l'unico potere che secondo la Costituzione può limitare la libertà di espressione: la magistratura. Si tratterà forse di un pesce d'aprile, viene da chiedersi.
Leggi articolo originale integrale: http://www.byoblu.com/post/2013/12/17/luomo-piu-ostile-a-internet.aspx
Rassegna News Giuridiche by avv. Gabriella Filippone
Blog: studio legale avvocato Gabriella Filippone