Fonte: Il Sole 24 Ore
Responsabilità professionale e diritto del paziente ad ottenere la restituzione del compenso percepito dal sanitario
Il caso
Una paziente, a causa della rottura parziale di un dente, si reca da un odontoiatra, il quale la sottopone ad una terapia che pur essendo di routine, provoca un peggioramento delle sue condizioni di salute: necrosi gengivale.
La signora agisce in giudizio nei confronti del professionista, chiedendo la condanna al risarcimento dei danni subiti, patrimoniali e non patrimoniali.
Causa decisa dal Tribunale di Monza a seguito di consulenza tecnica d’ufficio, da cui risultava che la sintomatologia della paziente era in relazione causale con le cure dal professionista, il quale aveva agito con imperizia ed imprudenza, provocando alla paziente un danno biologico temporaneo.
Il giudice, ritenendo condivisibili le risultanze della c.t.u. e accertata una responsabilità professionale del dentista, lo condannava a risarcire alla paziente un importo risultante dalla somma di varie voci: risarcimento del danno non patrimoniale da inabilità temporanea (danno biologico temporaneo), danno morale, danno patrimoniale relativo alle spese necessarie per il rifacimento delle cure, danno patrimoniale relativo alla restituzione dell’acconto percepito dal professionista.
Il dentista impugnava la sentenza del Tribunale di Monza, dando origine alla sentenza della Corte di Appello di Milano (del 9 febbraio 2015), e prima di illustrare la decisione, si riassume l’orientamento prevalente della giurisprudenza in tema di restituzione del compenso percepito dal dentista (estensibile a qualsiasi professionista sanitario e a qualsiasi professionista intellettuale) nel caso in cui il paziente richieda il risarcimento dei danni subiti in conseguenza di responsabilità professionale.
L’orientamento giurispudenziale: il compenso per una prestazione medica rivelatasi inutile o dannosa costituisce per il paziente una perdita patrimoniale che deve essere risarcita. Regola generale in tema di inadempimento contrattuale: il contraente non inadempiente, il quale abbia effettuato il pagamento stabilito, ha diritto, in caso di risoluzione, alla restituzione del corrispettivo.
L'impostazione è descritta da una sentenza del Tribunale di Roma del 30 aprile 2007 nella quale si precisano le conseguenze “restitutorie” gravanti sul professionista sanitario nel caso in cui sia accertata la sua responsabilità professionale in base ai criteri di ripartizione dell’onere della prova in materia di inadempimento contrattuale e sia, conseguentemente, accolta la domanda di risoluzione del contratto.
La sentenza conferma la posizione della giurisprudenza: a seguito di risoluzione del contratto di prestazione d’opera professionale, il medico è tenuto a restituire il corrispettivo ricevuto in quanto, se l’onorario pagato fosse “irrepetibile” (cioè non assoggettabile a pretesa restitutoria) verrebbe alterato l’equilibrio tra le reciproche prestazioni, ed il paziente costretto a pagare una prestazione inutile o dannosa. La sentenza stabilisce che, nel caso in cui prima della risoluzione del contratto il paziente non abbia ancora pagato l’onorario professionale, potrebbe legittimamente rifiutare di pagarlo, ai sensi dell’art. 1460 c.c., eccependo l’inadempimento da parte del professionista della sua prestazione (inutilità o dannosità della prestazione).
L'impostazione è dominante nella giurisprudenza recente, ad eccezione di una sentenza del Tribunale di Roma del 30 giugno 2004.
Secondo quest’ultima sentenza, nel caso di accertamento della risoluzione di un contratto tra paziente e dentista per inadempimento del secondo, anche con contestuale accertamento della sua responsabilità, il paziente non avrebbe diritto a pretendere la restituzione del compenso pagato (o degli acconti versati al professionista), in quanto – volendo semplificare la questione giuridica sottesa – gli obblighi di restituzioni conseguenti alla risoluzione di un contratto per inadempimento sarebbero interdipendenti, per cui ciascuna parte non sarebbe tenuta a restituire la prestazione ricevuta se non nella misura in cui anche l’altra parte sia in grado di fare altrettanto (fermo restando il diritto al risarcimento del danno).
Con la sentenza si ritiene che poiché il dentista non può più riottenere la prestazione che ha eseguita – seppur in maniera errata – in quanto prestazione irripetibile in natura (somministrazione di terapia, impianto di protesi, etc.), neppure la sua controparte, il paziente, potrebbe “ripetere” (chiedere indietro) il corrispettivo pagato.
Questa tesi è rimasta del tutto isolata ed oggetto di argomentate critiche.
Solitamente, nei casi in cui il paziente richiede al dentista, oltre al danno non patrimoniale subito a causa della prestazione errata, anche la restituzione del compenso (e/o dell’acconto) pagato, egli formula anche una domanda di risoluzione del contratto d’opera professionale.
La particolarità della decisione dalla Corte di Appello di Milano sta nella circostanza che la paziente, nell’atto introduttivo del giudizio, aveva chiesto semplicemente il risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, conseguenti alla responsabilità professionale del dentista, senza svolgere una domanda di accertamento della risoluzione del contratto.
Il giudice di primo grado ha condannato il professionista a risarcire al paziente anche la “parte” di risarcimento del danno rappresentata dal “danno emergente” consistente nell’acconto già pagato.
Il dentista ha impugnato la sentenza del Tribunale di Monza in quanto la restituzione dell’acconto percepito sarebbe una “restituzione” ammissibile solo nel caso di formulazione di domanda di risoluzione del contratto, e non accoglibile alla luce della sentenza del Tribunale di Roma del 2004.
La soluzione della Corte d’appello milanese.
La Corte d’Appello di Milano, di diverso avviso rispetto al dentista appellante, afferma che il compenso percepito, come pure gli acconti eventualmente ottenuti, rientrano tra i danni prodotti dalla prestazione dannosa, e ciò a prescindere dal fatto che sia stata formulata domanda di risoluzione del contratto per inadempimento.
La Corte motiva la sua decisione: nel caso di contratto d’opera professionale i danni conseguenti alla prestazione dannosa comprendono anche gli esborsi per acconti e corrispettivi richiesti dal professionista e anticipati dal paziente e il risarcimento dovuto si estende anche alla restituzione al cliente di tali somme, in quanto il loro pagamento diviene privo di causa in ragione della difformità di esecuzione dell’opera professionale rispetto alle regole della materia e in considerazione dell’inutilità dell’opera (contrarietà all’interesse del cliente/paziente).
Secondo la Corte d’Appello, nel caso in cui non venisse disposta la restituzione dei pagamenti, al termine dell’opera negligente o viziata da insufficiente perizia, risulterebbero definitivamente riversati nella sfera patrimoniale del cliente gli effetti negativi e pregiudizievoli della cattiva prestazione dell’opera.
Un tale esito, come afferma la Corte, non è accettabile, in quanto se la prestazione professionale è da giudicare come totalmente inadempiuta ed improduttiva, nessun compenso può essere dovuto al professionista ed anzi, essendo a quel punto venuta meno la causa (quale funzione economico individuale) del contratto d’opera professionale, il già avvenuto pagamento del compenso rappresenta una componente di danno per il cliente ed in quanto tale deve essere risarcita mediante la restituzione cosiddetta per equivalente (nella misura dell’importo corrisposto).
La sentenza della corte milanese svincola – in caso di accertata inutile ed anzi dannosa esecuzione – il diritto del paziente alla restituzione dei compensi già pagati dalla proposizione di una specifica domanda di risoluzione del contratto per inadempimento e nell’aver ritenuto i pagamenti effettuati quale componente del danno complessivamente subito dal paziente (comprendente anche le spese per il rifacimento delle cure e il risarcimento del danno non patrimoniale, biologico e morale), come tali ricompresi nella domanda generica di condanna al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non, formulata in giudizio.
«La differenza tra le persone sta solo nel loro avere maggiore o minore accesso alla conoscenza» (Lev Tolstoj)
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