giovedì 31 gennaio 2019

"SAI QUANTI NE MUIONO DI OVERDOSE A BOLOGNA?"


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  • Mietta Cesaroni Ma perché cosa è successo?

  • Gabriella Filippone Morte/suicidio per overdose - e con i nordafricani o chissà di dove cazzo erano, cmq africani, in casa - che gli procuravano la cocaina. In casa abbiamo trovato siringhe anche dentro ai libri e nella spazzatura. il portafogli non c'era. Sparito con glispacciatori. Il tutto dopo una luna convivenza di una con una certa dottoressa Pesci Paola, che si drogava, arrivava fatta al lavoro anche al pronto soccorso ed ha approfittato del suo status di medico di abusare della fiducia di mio fratell per ucciderlo di dosi massicce di psicofarmaci. Mio fratello era vittima della dipendenza. A Bologna probabilmente è normale lavorare in certe condizioni al Pronto soccorso ed indurre qualcuno ad uccidersi di psico-farmaci. Mi raccontava la Pesci che il padre era radiologo di ospedale e la scaraventò per terra dalla culla perché piangeva e lui non riusciva a dormire e riposare per lavorare il giorno dopo in ospedale. SHOCCATA da neonata. Con questa gente ha avuto a che fare mio fratello. Spacciatori extracomunitari e dottoressa bastarda shoccata di "pura razza italiana".




Gabriella Filippone con gli africani ci parlai solo per telefono perché cercavo disperatamente mio fratello. mi fu detto che mio fratello non era in casa ERA FUORI e che glielo avrebbero detto della mia chiamata appena rientrava. Chiamai la Questura di Bologna. Li misi al corrente. L'operatore mi disse che era di loro copetenza, che dovevo chiamare la Questura di Pescara. BALLE STRATOSFERICHE: il fatto stava accadendo a Bologna. Mi dissero che sarebbero potuti intervenire solo dopo che chiamavo la Questura di Pescara, non prima. Pensai che forse stavo esagerando e non chiami la Questura di Pescara. Peraltro per quanto ne sapevo spettava alla Questura di Bologna intervenire immediatamente. Poche ore dopo chiama la Questura di Bologna: avevano ricevuto una chiamata, c'era un morto in via Santo Stefano. Mio fratello era morto sul suo letto. Gli spacciatori erano già andati via dopo aver curato di sfilargli il portafoglio. "SAI QUANTI NE MUOIONO A BOLOGNA DI OVERDOSE?" Bene bene: viva le Forze di Polizia, viva le dottoresse drogate assassine ed autistiche. Sai ne continureranno a trovare a Bologna di morti di overdose? Una marea di morti di qualunque ceto sociale, non ha importanza per nessuno.

AL SIG. PROCURATORE DELLA REPUBBLICA
PRESSO IL TRIBUNALE DI BOLOGNA
La sottoscritto Avv. Gabriella Filippone, nata a Milano il 14.6.1962, residente in Pescara via Caravaggio n.103, in proprio,
Premesso
 che in data sabato 22 maggio 1999, la Questura di Bologna riceveva una telefonata anonima con cui una voce di accento straniero, extracomunitario, comunicava di un decesso  in Bologna alla via S. Stefano n.84. La Questura intervenuta sul luogo accertava il decesso nella sua abitazione di mio fratello Claudio Filippone (era nato a Milano il 18.2.1956) . Mio fratello veniva ritrovato sul suo letto con due siringhe vicino.
Ritengo opportuno informarVi dei seguenti fatti.
Mia madre telefonava a mio fratello il giovedì precedente, 20 maggio, rispondeva però un estraneo con una voce impastata, il quale informava mia madre che Claudio stava dormendo. Mia madre chiamava nuovamente, la medesima voce rispondeva al telefono, la faceva attendere e dopo una certa pausa la comunicazione le veniva interrotta.
Mia madre mi comunicava l’accaduto, pertanto il venerdì 21 telefonavo più volte a mio fratello, sia al cellulare che risultava staccato che al numero di casa.
A casa di mio fratello rispondeva sempre una voce impastata, straniera, poco comprensibile. Chiedevo di mio fratello e mi diceva che dormiva e che aveva fatto fatica a svegliarlo. Perdevo quasi immediatamente la calma e minacciavo questo soggetto di denunciarlo, gli domandavo se era lui il padrone di casa o mio fratello e gli domandavo perché non me lo passava.   
Nel primo pomeriggio di venerdi 21, constata l’impossibilità di comunicare con mio fratello, telefonavo al 12 chiedendo il numero della Polizia o dei Carabinieri di Bologna.
Mi veniva fornito un numero cui  rispondeva un addetto della Questura di Bologna.
Lo informavo dell’accaduto premettendo che mio fratello si era trasferito a diciottanni da Pescara  per frequentare la facoltà di ingegneria dove si laureava brillantemente con tesi pubblicata che gli conferiva una borsa di studio come ricercatore universitario; si sposava con una psichiatra, dott.ssa Livia Franchini di Bologna. Avevano un bambino nel 1998.
Pochi anni dopo si separava dalla moglie ed andava a convivere con una certa Paola Pesci, dottoressa, originaria di Castel S.Pietro, che ha fatto uso di sostanze stupefacenti e di psicofarmaci.
 Nel dicembre 97 mio fratello si licenziava dalla ATC di Bologna e riceveva una liquidazione di 180milioni. La Pesci si licenziava. Facevano un viaggio per l’Europa di qualche mese, il resto credo sia stato speso in droga pesante.Questi soldi di TFR finivano nel giro di un anno.
Nel febbraio 99 mio fratello e la Pesci, dopo un rapporto durato otto anni, litigavano e lei andava a stare dai genitori a Castel S.Pietro. Mio fratello entrava nel mese di marzo in una forte depressione, ci telefonava minacciando il suicidio se non gli riportavamo la sua Paola. Precisavo alla Questura che mio fratello aveva appena venduto una sua proprietà immobiliare, pervenutagli in eredità dal padre, deceduto nel 1995, per cui aveva disponibilità di denaro,   che a casa rispondeva un extracomunitario che non mi passava mio fratello, che avevo  motivo di ritenere che a casa di mio fratello potessero trovarsi quantitativi di droga pesanti superiori all’uso personale; che temevo per mio fratello in quanto aveva più volte minacciato di vole morire, chiedevo pertanto un intervento.
La Questura mi rispondeva che riteneva di non poter intervenire in quanto mio fratello era maggiorenne e consapevole, mi consigliava pertanto di telefonare alla Questura di Pescara, spiegando i fatti anzidetti, in quanto la Questura di Pescara doveva  autorizzare la Questura di Bologna a recarsi presso l’abitazione di mio fratello. Demoralizzata dalla risposta richiamavo il 12 chiedendo il numero dell’Antidroga di Bologna, mi veniva fornito il numero. Non riuscivo a contattare l’Antidroga in quanto nelle prime ore del pomeriggio di venerdì 21 ricevevo il segnale di avvio del fax. Provavo anche nelle ore di ufficio senza poter mettermi in contatto con l’Antidroga.
Non chiamavo la Questura di Pescara,  come consigliatomi, perché dopo la conversazione avuta con l’operatore di Bologna temevo di aver potuto esagerare nei confronti di mio fratello, rimandavo al giorno dopo sabato 22 per tentare di contattare l’Antidroga ritenendola più ricettiva  alle mie istanze.
Il giorno dopo mio fratello moriva, le circostanze della sua morte non sono ancora certe.

Rimane il fatto che ha lasciato uno scritto di nove pagine dove racconta alla sua Paola che in casa sua ci sono tre extracomunitari di cui uno “venditore all’ingrosso di coca” ed un altro che confezionava le “palline”, dosi monouso di eroina o cocaina.
All’interno dell’abitazione di mio fratello, domenica 23 maggio, abbiamo trovato siringhe usate quasi in ogni stanza, per terra, in un libro, sul tavolo della cucina; il secchio della spazzatura stracolmo di siringhe. L’ispettore Cantobelli con l’agente Lamparelli della Squadra Mobile di Bologna ha trovato e prelevato dei video porno della Pesci, una lettera di addio di mio fratello indirizzata alla sua Paola, agendine con degli indirizzi.
A me è sembrato di riconoscere la Pesci, con il viso in parzialmente  coperto, su una pagina di una rivista che propone scambi di coppie trovata a casa di mio fratello, insieme a diverse lettere di risposta ad un annuncio da loro stessi fatto pubblicare, sparse in camera da letto.
Faccio presente che nel 1992 mio fratello  prendeva in locazione un appartamento in via S Stefano n.84 dove andava a vivere con la Pesci.  Progettavano certo di rimanervi per molto in quanto ristrutturavano completamente il bagno e la cucina, per far questo mio fratello chiedeva un finanziamento.
Mio fratello non  si trovava bene all’ATC, per cui dal punto di vista lavorativo ci manifestava la sua insoddisfazione, progettava con la Pesci, specializzata in geriatria, con l’aiuto di soci finanziatori, di creare una casa di riposo  per anziani .Chiedevano altresì sovvenzioni statali di sostegno al progetto.
Nel contempo notavo in mio fratello, dopo alcuni mesi dalla morte di mio padre, dei mutamenti. 
Quando tornava a Pescara  non si metteva più in contatto con i suoi amici dei tempi del liceo, si chiudeva in camera con la Pesci per giorni a guardare la televisione, lei a leggere e dormire, lui a dormire, uscivano dalla stanza per mangiare o  andare in bagno.
Iniziavo a notare sul comodino della Pesci fiale consumate di medicinali quali il Valium ogni volta più numerose; schizzi di sangue sulla parete sopra il comodino della Pesci. Erano sempre pallidi e vestivano di nero. Sin dal 97 quando telefonavo a Bologna mio fratello rispondeva sempre con voce roca e impastata, confusa come se si fosse appena svegliato. Ho la certezza che mio fratello assumeva, oltre alla droga, quantitavi massicci di psicofarmaci, che ritengo gli somministrasse la Pesci.
Mio fratello nel 97 o 98 mi raccontava che Paola Pesci aveva una pistola, senza regolare licenza, che si era procurata in quanto svolgendo  il lavoro di guardia medica notturna temeva per la propria incolumità fisica. 
Mio fratello ha lasciato una lettera di addio alla sua Paola, spiegando che senza di lei non ce la faceva a vivere. 
Non credo che si sia ucciso per amore come lui scrive, piuttosto a causa del grave stato di prostrazione fisica e mentale in cui era caduto in conseguenza dell’uso di droghe pesanti e dell’abuso di psicofarmaci e potenti antidolorifici .
Ritengo che vi sia una responsabilità del medico che ha prescritto per anni a mio fratello detti farmaci, chiedo pertanto che si indaghi sul punto, in quanto ammesso che mio fratello necessitasse di psicofarmaci, questi gli sono stati prescritti e dunque assunti in misura sconsiderata.
I documenti rinvenuti a casa di mio fratello sono stati conservati  dalla dott.ssa Livia Franchini , vedova di mio fratello.
Ai primi di maggio 99  mio fratello era sceso a Pescara in quanto non si sentiva bene ed aveva la febbre. Nel giro di qualche giorno si era ripreso ed aveva iniziato a mangiare dei pasti regolari. Chiedeva soldi a mia madre,  per procurarsi minimi quantitativi di cocaina.
Ci confessava di aver fatto di uso di eroina e di essere riuscito a smettere convincendo Paola nel dicembre 98 a chiudersi  in casa con lei  per una settimana senza praticamente mangiare.  Avevano però in seguito continuato a far uso di cocaina per endovena.
Ci diceva di non poter vivere senza di lei; che nel mese di febbraio l’aveva mandata via da casa perché non ce la faceva a vederla ciondoloni per casa incapace di fare nient’altro.
Lei era andata dai genitori; si erano in seguito riappacificati. Poi avevano un banale litigio, lei ha detto che andava a comprare le sigarette e non è più tornata, se non col padre e i carabinieri per riprendere le sue cose, rifiutandosi in seguito al telefono e di persona.
Raccontava a mia madre che Paola gli aveva rovinato la vita, che non faceva per lui, che gli amici comuni era contenti che si fossero lasciati.
Mio fratello era una persona molto brillante, estroverso ed intelligente. Con Paola aveva smesso di frequentare quasi tutti i suoi amici; quando lei è andata via è rimasto solo e disperato. “Sono morto per tutti” diceva.
Mi raccontava, sempre nel maggio scorso, di aver iniziato a far uso di eroina sei mesi dopo la morte del padre, mentre Paola aveva iniziato da giovanissima, intorno ai sedicianni. Era andata a convivere con un malvivente, dopo che questo aveva convinto il padre di lei a lasciarla andar via puntandogli una pistola in faccia.
Dopo un certo tempo lo aveva  lasciato ed era tornata a casa dei suoi.
Il ragazzo le mandava un mazzo di fiori che la madre gettava nell’immondizia, in seguito le madre le annunciava con estrema freddezza: .
Si era ammazzato per lei.  Mio fratello dunque era morbosamente attaccato a Paola Pesci: pur sapendo che un altro suo uomo è morto per lei, ha rinunciato a vivere, sconfitto dalla droga e dallla depressione in cui in ultimo  versava.
Claudio , il 16 maggio scorso, prima di ripartire per Bologna, aveva promesso alla madre che sarebbe tornato a pescara, tanto che le lasciava degli indumenti sporchi per ritrovarli puliti al suo ritorno. Mia madre gli aveva dato l’opportunità di un lavoro estivo a Pescara.
Lui sembrava avesse accettato, prometteva alla madre di salire a Bologna per dare la disdetta del contratto ai padroni di casa  e per un colloquio di lavoro a Vicenza presso la “Veneta System”.
Quando è morto sul suo letto a fianco a lui c’erano una cartina stradale aperta sul Veneto e l’orario dei treni aperto sulla pagina per Venezia, doveva partire per il colloquio, certamente aveva prelevato dei soldi dal conto  bancario, nel suo portafoglio non si è ritrovata una lira, così come mancava il suo cellulare che risultava staccato da tre giorni. 
Il suo declino è stato rapido: è arrivato a Bologna il 16 a sera ed è stato ritrovato morto vestito nel suo letto il 22 maggio. Ha iniziato con l’eroina nel 1996, non so quando abbia iniziato a far uso di psicofarmaci, tale tempo ritengo coincida con gli anni di convivenza con la Pesci.
 Motivo di crisi del loro rapporto è stato sin dall’inizio il padre di lei, Giulio Pesci, il quale sapendo che mio fratello era separato e con un figlio, aveva deciso di rompere qualsiasi rapporto con la figlia sino a quando non avesse rotto con mio fratello, la quale lamentava molto questa forzata separazione dai suoi genitori.
In ultimo mio fratello mi disse, nel maggio scorso, che Paola era falsa e che se avesse lanciato delle accuse nei suoi confronti per maltrattamenti lui avrebbe mostrato al giudice dei video che mostravano chiaramente quanto lei fosse masochista.
Permane in me l’amarezza per non essere riuscita salvare mio fratello, in quanto la Questura di Bologna, da me chiamata il giorno prima del suo decesso, non ha ritenuto di poter intervenire. Avrei preferito di gran lunga un fratello in carcere ad un fratello al cimitero. Ritengo che la Questura di Bologna abbia ingiustamente omesso di intervenire, precludendomi la possibilità di salvare mio fratello.
Chiedo in ultimo che venga analizzato il liquido prelevato dal medico legale sulla salma di mio fratello affinchè venga stabilita la sostanza che ha procurato la morte di mio fratello.
Tutto ciò premesso, la sottoscritta
DENUCIA
I fatti sopraesposti per le determinazioni o le indagini che la S. V. vorrà prendere o disporre.
Pescara, 20.8.1999
























LORENZIN e la "BAMBOLA ASSASSINA" | L 'INVADENZA DELLA ASL


Immagine: "l'immunità di gregge"
LORENZIN "BAMBOLA ASSASSINA" | L'INVADENZA DELLA ASL

"Assurdo: IL SOTTO SEGRETARIO PD DAVIDE FARAONE difende i vaccini obbligatori (vedi video).
Questo sottosegretario si è laureto dopo 12 anni in scienze politiche (e quindi non in medicina)" mentre la Lorenzin,  detta anche da alcuni "bambola assassina",  invece si è solo diplomata al classico e stop.
Diciamo che i secchioni sono altri, non loro. 











Per quanto ho sperimentato sulla mia pelle so che quando ero piccola ci furono dei casi di colera a Napoli. Conseguenze: per quanto vivessimo in un'altra regionei nostri genitori scelsero  il vaccino facoltativo per me e mio fratello. Da allora ed in conseguenza del vaccino diventai allergica gli antibiotici mentre mio fratello, se prendeva il Buscopan o altro farmaco, andava al pronto soccorso con la faccia gonfia come un pallone.



Sull'argomento vedi:









Mio fratello si affezionò così tanto al pronto soccorso (scherzo) che sposò  casualmente una psichiatra, figlia a sua volta di un primario in un ospedale di Bologna,  la città "dotta". 
Pure la madre di lei era dottoressa. 

Insomma, una DOCTORS FAMILY HOUSE






Non bastevole e pago di questa esperienza, ironizzo amara ora, in seguito si mise a convivere, convivenza more uxorio, con una dottoressa di pronto soccorso e guardia medica. Questa, invece, era figlia di un radiologo di ospedale (o qualcosa del genere)  e di un'insegnante. 

A dire di quella tizia, della dottoressa convivente, suo padre quando lei era una neonata,  la scaraventò a terra dalla culla perché piangeva e lui non riusciva a dormire. Un trauma.

Capito (regola della lingua italiana: non si dice, rivolgendosi agli altri: "capito?") certi indefessi dipendenti statali ASL tutti ligi al dovere e  "vizi privati e pubbliche virtù"?

Mio padre, commerciante, quindi autonomo,  era un santo a confronto col padre di lei,  come la stessa lo aveva  descritto, raccontando quell'episodio tristemente gravissimo della sua infanzia. 
Sant'Antonio precisamente: "lu nemiche de lu demonio".

Particolare orrendo della relazione tra la dottoressa e mio fratello: la tipa faceva uso ed abuso di droga (cocaina) e dipsicofarmaci e farmaci per malati terminali

Anche al lavoro si presentava in pessime condizioni (praticamente "fatta").

Stesse condizioni che dispensava generosamente a mio fratello. 

Lei potevaNon aveva avuto certo problemi, nel corso della loro relazione, a convincere mio fratelloridotto da lei ad un larva con dosi massicce e quasi mortali  di psicofarmaci ed altro (farmaci per malati terminali). 

Ridotto da chi sennò?

Poteva, se lo riteneva, ricettare, cioè prescrivere ricette, e continuare ad avvelenare il prossimo, specie se consenziente: dipendenza da psico farmaci.

In più tra i due  c'erano fiumi di  cocaina, di cui facevano largamente uso.

Una Bologna viziosa a tinte forte. Non solo rossa. Una storia italiana.





Ci sono cose che nessuno ti dirà ci sono cose che nessuno ti darà sei nato e morto qua nato e morto qua nato nel paese delle mezze verità Dove fuggi in Italia pistole in macchina -- in Italia Macchiavelli e Foscolo -- in Italia i campioni del mondo sono -- in Italia Benvenuto -- in Italia fatti una vacanza al mare -- in Italia meglio non farsi operare -- in Italia e non andare all'ospedale -- in Italia La bella vita -- in Italia le grandi serata, i gala -- in Italia fai affari con la mala -- in Italia il vicino che ti spara -- in Italia Ci sono cose che nessuno ti dirà ci sono cose che nessuno ti darà sei nato e morto qua sei nato e morto qua nato nel paese delle mezze verità Ci sono cose che nessuno ti dirà ci sono cose che nessuno ti darà sei nato e morto qua sei nato e morto qua nato nel paese delle mezze verità



Bisturi e cocaina: oltre 40mila i medici che fanno uso di sostanze

Dalla sala operatoria al pronto soccorso. Il dieci per cento dei medici ha problemi di droga e alcol. La fatica e i turni più lunghi aggravano il problema. A Torino è nato un centro per far fronte alla situazione


Droghe e alcol negli ospedali italiani sono molto più diffusi di quanto si pensi, il problema sembra in aumento con i turni massacranti ai quali sono sottoposti i medici dopo il blocco delle assunzioni e i tagli alla sanità.
I più colpiti dalle dipendenze sono chirurghi, anestesisti, medici di pronto soccorso, psichiatri e ginecologi
In Germania, il medico Kalus Lieb in uno studio condotto a Magonza ha scoperto che un chirurgo su cinque assumeva sostanze psicoattive legali o illegali, mentre il 15% consumava antidepressivi





Sindrome di Burnout nei medici 

Il burnout influenza tutta la vita di una persona – non c’è più niente che funzioni. È lo psicoanalista Herbert Freudenberger (1927-1999)che nel 1974 ha coniato il termine “burn out” per la prima volta. Chi risulta “bruciato” (letteralmente Burn-out) è cinico, isolato e incapace di funzionare in modo efficace. E ciò può avere conseguenze particolarmente gravi specie per quanto riguarda la professione medica.

I medici spesso effettuano turni di lavoro la cui durata è imprevedibile. Lavorano con pazienti gravemente malati e con i loro familiari preoccupati. Spesso hanno pochissimo spazio da dedicare alla propria vita privata. I tempi di lavoro molto lunghi sono correlati al tasso di sindrome di burnout negli internisti, nei medici di medicina generale, nei medici di cure palliative, nei giovani medici e nei radiologi. Inoltre, i medici ospedalieri spesso sono giovani e inesperti, fattore che contribuisce ad aumentare lo stress. A questo si aggiungono le pressioni ricevute dall’alto dettate dalle potenti gerarchie ospedaliere. Gli studi hanno dimostrato che i medici più giovani soffrono più spesso di burnout rispetto a quelli più vecchi proprio a causa della loro inesperienza.
Fonte: DockCheckNews




La sindrome da burnout (o semplicemente burnout) è l'esito patologico di un processo stressogeno che interessa, in varia misura, diversi operatori e professionisti impegnati quotidianamente e ripetutamente in attività che implicano le relazioni interpersonali.
Le componenti della sindrome attraverso tre dimensioni:
  • deterioramento dell'impegno nei confronti del lavoro;
  • deterioramento delle emozioni originariamente associate al lavoro;
  • problema di adattamento tra la persona ed il lavoro, a causa delle eccessive richieste di quest'ultimo.
Il burnout diventa una sindrome da stress non più esclusiva delle professioni d'aiuto, è probabile in qualsiasi organizzazione di lavoro.
Dimostrata la correlazione tra burnout ed  alienazione negli assistenti sociali.

La “sindrome del burnout” è una tipologia specifica di disagio psicofisico connesso al lavoro ed interessa, in varia misura, operatori e professionisti impegnati quotidianamente e ripetutamente in attività che implicano le relazioni interpersonali
Il burnout" colpisce in misura prevalente coloro che svolgono le cosiddette professioni d'aiuto o “helping professions” ma anche coloro che, pur avendo obiettivi lavorativi diversi dall'assistenza, entrano continuamente in contatto con persone che vivono stati di disagio o sofferenza. Il problema è stato riscontrato in modo predominante in coloro che operano in ambiti sociali e sanitari come medici, psicologi, assistenti sociali, insegnanti, counselors, esperti di orientamento al lavoro, fisioterapisti, operatori dell'assistenza sociale e sanitaria, infermieri, guide spirituali, missionari, agenti delle forze dell'ordine e operatori del volontariato.
Il fenomeno è stato studiato, esso è stato riscontrato anche in tutti quei mestieri legati alla gestione quotidiana dei problemi delle persone in difficoltà, a partire dai poliziotti, carabinieri, vigili del fuoco, consulenti fiscali, avvocati, nonché in quelle tipologie di professioni educative (es. insegnanti) che generano un contatto, spesso con un coinvolgimento emotivo profondo, con i disagi degli utenti con cui lavorano e di cui guidano la crescita personale.
Se non aiutati, questi soggetti cominciano a sviluppare un lento processo di "logoramento" o "decadenza" psicofisica dovuta alla mancanza di energie e di capacità per sostenere e scaricare lo stress accumulato (il termine burnout in inglese significa proprio "bruciarsi"). In tali condizioni può succedere che queste persone si facciano un carico eccessivo delle problematiche delle persone a cui badano, non riuscendo così più a discernere tra la propria vita e la loro.

Il burnout comporta esaurimento emotivodepersonalizzazione, un atteggiamento spesso improntato al cinismo e un sentimento di ridotta realizzazione personale. Il soggetto tende a sfuggire l'ambiente lavorativo assentandosi sempre più spesso e lavorando con entusiasmo ed interesse sempre minori, a provare frustrazione e insoddisfazione, nonché una ridotta empatia nei confronti delle persone delle quali dovrebbe occuparsi. Il burnout si accompagna spesso ad un deterioramento del benessere fisico, a sintomi psicosomatici come l'insonnia e psicologici come la depressione. I disagi si avvertono dapprima nel campo professionale, ma poi vengono con facilità trasportati sul piano personale: l'abuso di alcol, di sostanze psicoattive ed il rischio di suicidio sono elevati nei soggetti affetti da burnout.

La prevalenza della sindrome nelle varie professioni non è ancora stata chiaramente definita, ma sembra essere piuttosto elevata tra operatori sanitari quali medici e infermieri (ad esempio, secondo un recente studio olandese in Psychological Reports, non meno del 40% dei medici di base andrebbe incontro ad elevati livelli di burnout), insegnanti e poliziotti.

Le fasi del burnout

Negli operatori sanitari, la sindrome si manifesta generalmente seguendo quattro fasi.
  • La prima, preparatoria, è quella dell'"entusiasmo idealistico" che spinge il soggetto a scegliere un lavoro di tipo assistenziale.
  • Nella seconda ("stagnazione") il soggetto, sottoposto a carichi di lavoro e di stress eccessivi, inizia a rendersi conto di come le sue aspettative non coincidano con la realtà lavorativa. L'entusiasmo, l'interesse ed il senso di gratificazione legati alla professione iniziano a diminuire.
  • Nella terza fase ("frustrazione") il soggetto affetto da burnout avverte sentimenti di inutilità, di inadeguatezza, di insoddisfazione, uniti alla percezione di essere sfruttato, oberato di lavoro e poco apprezzato; spesso tende a mettere in atto comportamenti di fuga dall'ambiente lavorativo, ed eventualmente atteggiamenti aggressivi verso gli altri o verso se stesso.
  • Nel corso della quarta fase ("apatia") l'interesse e la passione per il proprio lavoro si spengono completamente e all'empatia subentra l'indifferenza, fino ad una vera e propria "morte professionale".

Le cause del burnout

Le cause più frequenti di burnout sono:
  • sovraccarico di lavoro: il disadattamento è presente quando la persona percepisce un carico di lavoro eccessivo (richieste lavorative così elevate da esaurire le energie individuali, da non rendere possibile il recupero), o quando, anche in presenza di un carico ragionevole, il tipo di lavoro non è adatto alla persona (si percepisce di non avere le abilità per svolgere una determinata attività) e quando il carico emotivo del lavoro è troppo elevato (il lavoro scatena una serie di emozioni che sono in contraddizione con i sentimenti della persona).
  • senso di impotenza: il soggetto non ritiene che ciò che fa o vuole fare riesca ad influire sull'esito di un determinato evento.
  • mancanza di controllo: il disadattamento si verifica quando l'individuo percepisce di avere insufficiente controllo sulle risorse necessarie per svolgere il proprio lavoro oppure quando non ha sufficiente autorità per attuare l'attività nella maniera che ritiene più efficace.
  • riconoscimento: si ha disadattamento quando si percepisce di ricevere un riconoscimento inadeguato per il lavoro svolto.
  • senso di comunità: è presente disadattamento quando crolla il senso di appartenenza comunitario all'ambiente di lavoro, ovvero quando si percepisce che manca il sostegno, la fiducia reciproca ed il rispetto e le relazioni vengono vissute in modo distaccato ed impersonale.
  • assenza di equità: si ha disadattamento quando non viene percepita l'equità nell'ambiente di lavoro in ambiti quali, ad esempio, l'assegnazione dei carichi di lavoro e della retribuzione o l'attribuzione di promozioni e avanzamenti di carriera.
  • valori contrastanti: il disadattamento nasce quando si vive un conflitto di valori nel contesto di lavoro, quando la persona non condivide i valori che l'organizzazione trasmette oppure quando i valori non trovano corrispondenza, a livello organizzativo, nelle scelte operate e nella condotta.
  • facile identificazione del personale con la malattia.

Le conseguenze del burnout

A livello individuale

  • Atteggiamenti negativi verso i clienti/utenti
  • Atteggiamenti negativi verso se stessi
  • Atteggiamenti negativi verso il lavoro
  • Atteggiamenti negativi verso la vita
  • Calo della soddisfazione lavorativa
  • Calo dell'impegno verso l'organizzazione
  • Riduzione della qualità della vita personale
  • Peggioramento dello stato di salute

Fonte: Wikipedia





Per dirla breve... mio fratello, da  un cimitero di campagna in cui giace, saluta tutti i lettori di questo blog: è morto nel 1999 per overdose.



Ci sono cose che nessuno ti dirà ci sono cose che nessuno ti darà sei nato e morto qua sei nato e morto qua nato nel paese delle mezze verità Dove fuggi Dove fuggi



Non so più nulla della tipa tossica pericolosa, non so se viva, se morta o se lavora ancora al pronto soccorso.

Mio padre e anche mio fratello si fidavano dei dottori.

MOI NON PLUSSIGNORA ASLIN QUESTA STORIA NON HAI FATTO UNA BELLA FIGURA. ANZI, PESSIMA. FAI RIBREZZO.

Le casistica sui vaccini è molto ampia e grave. 
Assistiamo ad  Stato e/o un sistema sanitario che fanno danni con la scusa o malgrado i loro buoni propositi ignoranti.

La storia di mio fratello, è una storia anonima ai più, che però ci riguarda tutti. Vi siete mai chiesti in quali mani è la nostra salute? A chi l'affidiamo? E a cosa rinunciamo e perdiamo o rischiamo di perdere delegandola ad altri. Abdicando a noi stessi.


Denunciai quella morte, la morte di mio fratello, alle Autorità del luogo: un buco nell'acqua.






Il burn out del medico di pronto soccorso
di Alessandro Sabidussi
Medico della medicina d’urgenza e pronto soccorso dell’ospedale Gradenigo di Torino

"Cari colleghi,
Ogni professione per chi la svolge contiene aspetti di sofferenza e di disagio più o meno connaturati alla professione stessa, ma comunque inevitabili. Spesso sono fortemente caratterizzanti quel tipo specifico di attività, se non addirittura elementi di selezione meritocratica. Pensiamo ad esempio al rischio per la propria incolumità per chi presta servizio nei corpi di Polizia o dei Vigili del Fuoco, l’aspro confronto dialettico per chi professa l’avvocatura o l’attività di rappresentanza politica o sindacale, il peso della responsabilità decisionale per un magistrato o per un funzionario di banca, la necessità di raggiungere e mantenere elevati livelli di concentrazione per un pilota di aerei o per un controllore di volo, l’ansia di produrre un buon pezzo nei tempi stabiliti per un giornalista, l’esigenza di pianificare costantemente strategie vincenti a breve, medio e lungo termine per un manager di azienda, e l’elenco potrebbe proseguire occupando diverse pagine." (continua)

Fonte: simeublog














Una Giornata Uggiosa, 1980
Lucio Battisti ------------------------------------ "Sogno un cimitero di campagna e io là all'ombra di un ciliegio in fiore senza età per riposare un poco 2 o 300 anni giusto per capir di più e placar gli affanni Sogno al mio risveglio di trovarti accanto intatta con le stesse mutandine rosa non più bandiera di un vivissimo tormento ma solo l'ornamento di una bella sposa Ma che colore ha una giornata uggiosa ma che sapore ha una vita mal spesa Ma che colore ha una giornata uggiosa ma che sapore ha una vita mal spesa Sogno di abbracciare un amico vero che non voglia vendicarsi su di me di un suo momento amaro e gente giusta che rifiuti d'esser preda di facili entusiasmi e ideologie alla moda Ma che colore ha una giornata uggiosa ma che sapore ha una vita mal spesa Ma che colore ha una giornata uggiosa ma che sapore ha una vita mal spesa Sogno il mio paese infine dignitoso e un fiume con i pesci vivi a un'ora dalla casa di non sognare la Nuovissima Zelanda Per fuggire via da te Brianza velenosa Ma che colore ha una giornata uggiosa ma che sapore ha una vita mal spesa"







"La medicina convenzionale è colonizzata in modo clamoroso. Su quali basi possono strombazzare che guariscono
La gente può solo guarire nonostante gli interventi medici. La gente guarisce per autoguarigione. Noi siamo esseri dotati di strumenti di autoguarigione
Uno che affida il suo corpo alla medicina corre dei rischi gravissimi
La gente che pensa di fare un salto nel buio lo fa quando affida se stesso alla medicina di oggi. 
La medicina di oggi è sballante, è invasiva."




"Non sono medico e mi vanto di non essere medico. Ho dei medici in famiglia. 
Chi è medico è molto condizionato. Si imbottisce di farmaci e di farmacologia.  A livello di cure è negato

Immagine | via Wikimedia 
La medicina fa degli errori clamorosi, gravissimi
Roba di mandarli tutti in galera. Va bene? Non esagero. Perché questo? Hanno stabilito di fare la cura sul sintomo che è un errore clamoroso. 
Sai perché non vanno in galera? Semplicemente perché sono difesi dalla leggeHanno l'esclusiva.

Non bisogna curare il sintomo ma  curare il fattore causante

Quando dico a livelli estremo: non bisogna curare il tumore ma la tumorosità del corpo, la tendenza del corpo a creare dei tumori che tutti noi abbiamo delle creazioni continue e anche delle remissioni spontanee. 

Sono leggi che la medicina non conosce. Sono ignorantantissimi in queste cose.

Ogni corpo  segue un percorso e tende a difendere se stesso.
Il corpo tende a guarire. Non va mai contro se stesso"



Il burn out del medico di pronto soccorso
di Alessandro Sabidussi
Medico della medicina d’urgenza e pronto soccorso dell’ospedale Gradenigo di Torino

"Cari colleghi,
Ogni professione per chi la svolge contiene aspetti di sofferenza e di disagio più o meno connaturati alla professione stessa, ma comunque inevitabili. Spesso sono fortemente caratterizzanti quel tipo specifico di attività, se non addirittura elementi di selezione meritocratica. Pensiamo ad esempio al rischio per la propria incolumità per chi presta servizio nei corpi di Polizia o dei Vigili del Fuoco, l’aspro confronto dialettico per chi professa l’avvocatura o l’attività di rappresentanza politica o sindacale, il peso della responsabilità decisionale per un magistrato o per un funzionario di banca, la necessità di raggiungere e mantenere elevati livelli di concentrazione per un pilota di aerei o per un controllore di volo, l’ansia di produrre un buon pezzo nei tempi stabiliti per un giornalista, l’esigenza di pianificare costantemente strategie vincenti a breve, medio e lungo termine per un manager di azienda, e l’elenco potrebbe proseguire occupando diverse pagine." (continua)

Fonte: simeublog

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