venerdì 6 gennaio 2017

Ricorso al GDL contro il Regolamento attuativo dei contributi minimi obbligatori: la prima udienza è il 18 gennaio 2017




Gli aggiornamenti del Collega che segue e cura il ricorso avverso i cd. contributi minimi obbligatori 

 #avvocati




Gennaio 2017 | Rassegna stampa | Le notizie on line


"Ho riassunto il ricorso per l'impugnativa del Regolamento attuativo ex art. 21, commi 8 e 9, legge 247 avanti il GdL, dichiarato avente giurisdizione dal Tar Lazio. Prima udienza 18 gennaio 2017.

Inoltre, ho impugnato il regolamento polizza infortuni avanti il GdL. Prima udienza 3 maggio 2017.  Se ti va diffondi, scrivendo che ha impugnato l'Insorgenza Forense.

Per quanto attiene all'impugnativa della polizza infortuni, essa discende dalla legge professionale e dal regolamento attuativo pubblicato in G.U. in data 7 ottobre 2016. Al 7 ottobre 2017, pena sanzione disciplinare, siamo obbligati ad avere la polizza infortuni. 

L'ho impugnata avanti il GdL in quanto si atteggia a assicurazione antinfortunistica obbligatoria la cui competenza è del GdL. Siamo gli unici lavoratori autonomi ordinistici a doverla avere. Mi appare illeggittima."





Per motivi di privacy non viene indicato il nome del Collega, come richiesto dallo stesso.






Nota di aggiornamento della redazione: 
Udienza di discussione e decisione 22 maggio  2017







Si riproduce di seguito m
emoria difensiva di controparteCNF intervenuto ad opponendum in sostegno della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense (Cassa Forense) e dei Ministeri intimati (LavoroEconomia, Giustizia), chiedendo il rigetto del ricorsoSono stati da noi evidenziati con colore ed  in neretto, per comodità di lettura, alcuni passaggi dell'atto difensivo  del CNF:




Memoria di costituzione ad opponendum del Consiglio Nazionale Forense giudizio di riassunzione impugnazione Regolamento attuativo dell'art. 21 Legge n° 247/2012




Tribunale di Roma - Sezione Lavoro
Memoria difensiva di costituzione in giudizio
nel ricorso r.g. n. /16 - Giudice Dott. 
ud. 18.1.2017
del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE (CNF), con sede in Roma, p. IVA
05595231001, in persona del suo Presidente e legale rappresentante Avv. Andrea
Mascherin, rappresentato e difeso dall’Avv.     , al quale indirizzo dovranno essere effettuate tutte le comunicazioni
di rito), giusta mandato in calce al presente atto, con domicilio eletto in
Roma via Ennio Quirino Visconti 8 presso Avv.  - Servizio Legale
Cassa Naz. Prev. Ass. Forense,
contro
l’Avv. ,
- ricorrente -
nei confronti
- della Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense
- del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali
- del Ministero dell’Economia e delle Finanze
- del Ministero della Giustizia
- resistenti -

Premessa.

Con atto notificato a mezzo pec in data 15.11.2016 al sottoscritto difensore del Consiglio Nazionale Forense (di seguito CNF), l’Avv.  ha riassunto dinanzi a codesto Tribunale il ricorso dal medesimo proposto dinanzi al T.A.R. Lazio di Roma, r.g. n.13540/2014, e deciso con sentenza n.7353/2016, recante declinatoria della giurisdizione del giudice amministrativo in favore del giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro. 
In detto processo amministrativo il CNF aveva spiegato intervento ad opponendum allo scopo di sostenere le ragioni della Cassa nazionale di previdenza ed assistenza forense (di seguito Cassa Forense) e dei Ministeri intimati (Lavoro, Economia, Giustizia), chiedendo il rigetto del ricorso per l’annullamento degli atti impugnati.
Reiterando le domande proposte nel giudizio a quo, il ricorrente chiede che il Tribunale adito voglia:

a) “dichiarare e/o disapplicare come nullo perché tardivo il Regolamento attuativo ex art.21 commi 8 e 9 della Legge n.247/2012, approvato con ministeriale n.36/0011604/MA004.A007/AVV-L-110 del 7 agosto 2014”, “ovvero annullare e/o disapplicare il medesimo per i motivi tutti in narrativa esposti dal paragrafo A) al paragrafo B), nonchè dal paragrafo 1 al paragrafo 11”;

b) “anche d’ufficio, ritenuta la rilevanza della questione e la sua non manifesta infondatezza, voglia sollevare la questione di illegittimità costituzionale dell’art.21 L. n.247/2012 per i motivi tutti come in narrativa esposti nei paragrafida 1 a 10”; 


c) “voglia rivolgersi ai sensi dell’art.267 TFUE alla Corte di giustizia europea per ottenere, sulla base delle osservazioni contenute nell’apposito paragrafo sub 6 (Conflitto del Regolamento impugnato con il principio comunitario sulla libera concorrenza) una pronuncia della corretta interpretazione del diritto dell’Unione con riferimento agli artt. 101 e 102 TFEU mediante la procedura di rinvio pregiudiziale”;

d)accertare la non debenza dell’obbligazione contributiva a Cassa Forense del ricorrente e per l’effetto dichiarare che nulla è dovuto dal ricorrente alla Cassa Forense per gli anni 2014, 2015, 2016 ed anche successivi qualora il suo reddito continui ad essere pari a zero ovvero molto basso in virtù del principio del “minimo vitale”.


In sintesi, il ricorrente - avvocato non iscritto alla Cassa Forense prima della entrata in vigore della legge n. 247/2012 - pretende di essere esentato dall’iscrizione obbligatoria alla Cassa Forense, prevista da detta legge, e dal pagamento dei contributi previdenziali minimi obbligatori, previsti dal Regolamento approvato dalla Cassa Forense e dai Ministeri vigilanti nel 2014, in attuazione dell’art. 21della legge stessa.
Pertanto impugna tale Regolamento e gli atti ministeriali approvativi, adducendone l’illegittimità sotto vari profili, anche per violazione di principi costituzionali e di dell’ordinamento comunitario, ed invocando in sostanza il ripristino del sistema previgente alla legge n.247/2012, che imponeva l’iscrizione ed il pagamento dei contributi previdenziali alla Cassa forense soltanto agli avvocati percettori di reddito professionale superiore ad € 10.300 (mentre per tutti gli altri avvocati rimaneva obbligatoria l’iscrizione alla gestione separata dell’INPS).

2. Con la presente memoria difensiva il CNF in persona del suo Presidente e legale rappresentante si costituisce in giudizio per eccepire la manifesta inammissibilità ed infondatezza del ricorso e chiederne quindi il rigetto per i motivi esposti nel giudizio a quo e per le seguenti considerazioni in

Diritto

Sull’ammissibilità dell’intervento.
Ai sensi della legge n.247 del 31.12.2012 “Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense”, il CNF è un ente pubblico non economico a carattere associativo, istituito per garantire il rispetto dei principi previsti dalla medesima legge e delle regole deontologiche (art. 24 co.3); “ha in via esclusiva la rappresentanza  istituzionale dell’avvocatura a livello nazionale” (art. 35 co.1 lett. a); “emana il codice deontologico” forense (lett. d); “esprime pareri in merito alla previdenza forense” (lett. m). Trattasi quindi di un ente esponenziale deisoggetti abilitati ad esercitare la professione forense.
Pertanto il CNF in persona del suo Presidente, proprio in ragione della sua funzione istituzionale sancita dalla l. n.247/2012 e dalle leggi istitutive n.36/1934 e R.D. n.37/1934, ed in quanto ente preposto alla tutela degli interessi della intera categoria forense, ha interesse e legittimazione ad intervenire ex art. 419 c.p.c. nel presente giudizio per sostenere la legittimità costituzionale dell’art.21 della legge forense n.247/2012 nella parte relativa all’obbligo di tutti gli avvocati di iscriversi alla gestione previdenziale privata di categoria e di corrispondere i contributi relativi, e quindi per sostenere le ragioni della Cassa Forense che ha emanato l’impugnato Regolamento dei contributi.

Il vigente Codice deontologico approvato dal CNF stabilisce poi che gli avvocati devono assolvere gli obblighi previdenziali e contributivi previsti dalle norme in materia (artt. 16 e 70), la cui inosservanza è disciplinarmente sanzionata con la censura.
Essendo invero incontestabile che l’intera avvocatura, di cui il CNF ha la rappresentanza istituzionale esclusiva, ha interesse al rispetto delle previsioni introdotte dalla legge n.247/2012, ed in particolare dell’art.21 u.c.: “non è ammessa l’iscrizione ad alcuna altra forma di previdenza se non su base volontaria e non alternativa alla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza forense”, in quanto finalizzate alla piena ed autonoma tutela previdenziale ed assistenziale degli avvocati secondo i regolamenti autonomi approvati dalla Cassa forense a norma di legge - senza dubbio ammissibile è l’intervento del CNF nel presente giudizio ex art. 419 c.p.c., allo scopo di sostenere la legittimità costituzionale dell’art.21, comma 8 e 10 della L. n.247/2012 (sull’obbligo di iscrizione alla Cassa forense) e quindi la legittimità del Regolamento ex art.21 cit., comma 9, emanato dalla Cassa Forense (sui contributi minimi dovuti da iscritti con redditi bassi). Invero la partecipazione di tutti gli avvocati alla gestione previdenziale di categoria soddisfa un fondamentale criterio di equità e parità di trattamento con il riconoscimento di uguali diritti e doveri previdenziali per tutti gli iscritti agli albi.
Inoltre a tutti gli avvocati iscritti la Cassa Forense assicura non solo prestazioni previdenziali al raggiungimento dei requisiti, ma anche nel corso dell’attività professionale tutte le provvidenze previste dal nuovo Regolamento dell’assistenza, entrato in vigore il 1° gennaio 2016 (prestazioni in caso di bisogno, a sostegno della famiglia, a sostegno della salute, a sostegno della professione ed altre), in tal modo dando piena attuazione al principio solidaristico che ispira l’intero sistema.
Viceversa sottrarre all’iscrizione alla Cassa Forense (come sostiene il ricorrente) gli avvocati più bisognosi (ossia con redditi bassi) significa privare proprio costoro, di tutti i benefici che oggi assicura il sistema di sicurezza sociale della categoriaed in concreto compromettere principi fondanti della professione forense come quelli dell’indipendenza e dell’autonomia, nonché di agevolazione delle giovani generazioni all’accesso alla professione (v. art.1 l. n.247/12).

Sull’infondatezza del ricorso.
1) Si premette che, come accennato innanzi, la legge n.247/2012 ha stabilito all’art. 21 co.8 che “l’iscrizione gli Albi comporta la contestuale iscrizione alla Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense” (fondazione con personalità di diritto privato ai sensi dell’art.1 co.33 lett.a n.4 legge n. 537/93 e dell’art.1 d.lgs. n.509/94), che è l’ente gestore delle forme di previdenza e assistenza obbligatoria in favore degli avvocati, dotato di autonomia gestionale, organizzativa e contabile.
Trattasi di una delle innovazioni più importanti della L.P. che ha posto fine al doppio regime privato/pubblico della previdenza forense in base al reddito professionale, ed ha completato il processo di privatizzazione avviato con il cit. d. lgs. n.509/1994, unificando il sistema applicabile all’intera categoria.
Nel sistema previgente infatti l’iscrizione alla previdenza forense era obbligatoria solo per gli avvocati che esercitavano la professione con carattere di continuità (ossia con reddito professionale annuale superiore ad € 10.300,00), mentre gli altri avvocati (con redditi inferiori) potevano iscriversi facoltativamente alla Cassa o, in mancanza, erano obbligati ad iscriversi alla Gestione Separata dell’INPS.
Dopo la novella del 2012 gli iscritti agli albi forensi sono ex lege iscritti alla Cassa Forense, con il conseguente obbligo di corrispondere alla stessa i contributi dovuti, mentre “non è ammessa l’iscrizione ad alcuna altra forma di previdenza se non su base volontaria e non alternativa alla Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense” (così dispone il comma 10 del cit. art.21).
Quindi anche gli avvocati con redditi inferiori ad € 10.300,00 annui sono iscritti alla Cassa Forense e non devono più pagare i contributi alla Gestione Separata dell’INPS.
Al comma 9 l’art. 21 la legge ha poi stabilito che, entro un anno dall’entrata in vigore, la Cassa Forense “determina con proprio regolamento i minimi contributivi dovuti nel caso di soggetti iscritti senza il raggiungimento di parametri reddituali, eventuali condizioni temporanee di esenzione o di diminuzione dei contributi per soggetti in particolari condizioni e l’eventuale applicazione del regime contributivo”, e cioè in sostanza le agevolazioni contributive in favore degli avvocati con redditi bassi.

Invero, in base al vigente Regolamento dei contributi di Cassa Forense, gli iscritti devono versare per l’anno 2016 un contributo soggettivo del 14% del reddito superiore a € 10.300,00, oltre al contributo di solidarietà del 3% su redditi eccedenti il tetto pensionabile, con un versamento minimo di € 2.815,00, ed un contributo integrativo del 4% sul volume di affari IVA, con un versamento minimo di € 710,00.
Nel rispetto della previsione normativa, la Cassa Forense ha adottato con delibera del 31 gennaio 2014 il Regolamento previsto dal cit. art. 21 co. 9 cit., che è stato poi approvato definitivamente dai Ministeri vigilanti (Lavoro, Economia, Giustizia) giusta nota del Ministero del Lavoro del 7 agosto 2014, pubblicata per
estratto nella G.U. n. 192 S.G. del 20 agosto 2014.
Con tale Regolamento sono stati disciplinati in particolare: le modalità di iscrizione obbligatoria alla Cassa, gli obblighi di comunicazione, i contributi minimi dovuti e le agevolazioni per i primi anni di iscrizione, le ulteriori agevolazioni per percettori di redditi al di sotto dei parametri (art. 9) e gli esoneri temporanei
(art. 10). Quindi, la Cassa ha avviato la procedura di iscrizione per gli avvocati iscritti soltanto all’Albo, chiedendo gli appositi elenchi dagli Ordini forensi circondariali, ed oggi tale procedura si è conclusa.

2) Il ricorrente sostiene di non dover essere iscritto alla Cassa Forense, perché altrimenti sarebbe costretto, in virtù del Regolamento impugnato, a corrispondere per gli anni 2014-2015-2016 i contributi c.d. minimi obbligatori ivi stabiliti, pur avendo percepito in tali anni redditi molto bassi, “salvo doversi cancellare dall’Albo
degli Avvocati in tempi brevi”, “onde evitare una situazione di morosità legale” nei confronti della Cassa Forense, con le relative sanzioni disciplinari previste dal nuovo codice deontologico. In sintesi, egli afferma di non avere redditi in misura sufficiente per poter sostenere l’onere contributivo minimo fissato dal Regolamento ex art. 21 co.9 L.P. e, su tale presupposto di fatto, lamenta vizi di legittimità a carico del Regolamento stesso, chiedendone l’annullamento, anche per l’illegittimità costituzionale dell’art. 21 della legge.
Il ricorrente contesta pure l’ammontare del contributo minimo obbligatorio fissato dal Regolamento impugnato, sotto vari profili e, comunque, per violazione di un canone di proporzionalità, oltre che dei principi di uguaglianza sostanziale e di capacità contributiva, previsti dalla Costituzione.

Trattasi di censure totalmente prive di fondamento giuridico, e per gran parte anche inammissibili per carenza di interesse attuale e concreto in quanto dirette a contestare disposizioni regolamentari che oggi non sono ancora applicabili nei confronti del ricorrente stesso, ma attengono alla disciplina generale della previdenza forense.

2.1) Manifestamente infondata è la censura di violazione di legge per tardività
nell’emanazione del Regolamento ex art. 21 co.9 cit..
Invero la legge n.247/12 è stata pubblicata sulla G.U. n.15 del 18.1.2013 ed è quindi entrata in vigore il 2.2.2013, e nel rispetto del termine annuale stabilito dal cit. art. 21 Cassa Forense ha deliberato il nuovo Regolamento con la delibera assunta del Comitato Delegati nella riunione del 31 gennaio 2014.
In ogni caso il termine di “un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge” fissata dalla norma citata ha per principio giuridico generale natura ordinatoria, non essendo prevista alcuna comminatoria di decadenza e/o preclusione per il caso di inosservanza. Stante la funzione meramente acceleratoria del termine, il suo superamento non comporta la decorrenza della potestà o l’illegittimità del provvedimento. E la natura ordinatoria del termine si estende ovviamente anche all’esercizio dei poteri di vigilanza da parte dei Ministeri competenti.
2.2) La circostanza poi che con il Regolamento de quo Cassa Forense, nell’esercizio della sua autonomia, abbia revisionato le norme sulla iscrizione all’ente sui contributi minimi dovuti dagli avvocati, oltre ad introdurre la disciplina prevista dal comma 9 dell’art.21, non ridonda minimamente a vizio di legittimità, giustificandosi anzi con l’evidente fine di dare maggiore sistematicità e completezza alla materia, anche per agevolarne l’interpretazione e l’applicazione.
Del resto è ormai conclamato che, nella disciplina della previdenza forense, la Cassa Forense è dotata di autonomia normativa, dato che i suoi regolamenti “sono riconducibili ad un processo di privatizzazione degli enti pubblici di previdenza e assistenza che si inserisce nel contesto del complessivo riordinamento o della soppressione di enti previdenziali” e che “questo assetto è stato realizzato attraverso una sostanziale delegificazione della materia, come osservato anche dalla Corte di Cassazione, con la sentenza 16 novembre 2009, n. 24202” (così di recente Corte Costituzionale, nell’ordinanza n. 254/2016 del 18/10/2016, in ordine alla questione attinente la legittimità dei Regolamenti emanati dalla Cassa).

2.3) Infondata è pure la censura di violazione dell’art. 21 co.9 L.P. in quanto, con il Regolamento de quo, sarebbero stati determinati sì i minimi contributivi dovuti nel caso di soggetti iscritti senza il raggiungimento di parametri reddituali, ma soltanto “per un arco temporale limitato ai primi otto anni di iscrizione alla Cassa Forense, anche non consecutivi” (art.9 co.1, ulteriori agevolazioni, con le conseguenze ivi previste ai fini previdenziali), mentre l’art.21 co.9 non prevederebbe tale temporaneità (per cui i minimi avrebbero dovuto essere fissati per sempre).
Di contro è agevole osservare che la disposizione normativa in questione, che uno specifico potere regolamentare alla Cassa Forense, non può confliggere con il vigente sistema previdenziale (costituzionalmente legittimo) che riconosce alla Cassa Forense l’autonomia nella determinazione dell’ammontare dei contributi previdenziali, ordinari e minimi, a carico degli iscritti al fine di garantire l’equilibrio di bilancio ai sensi dell’art. 2 co.2 D.LGS 509/1994, anche con una graduazione temporale allo scopo di agevolare gli iscritti stessi nei primi anni di attività professionale.
Non è esatto poi che nel Regolamento non sono stati disciplinati “i soggetti in particolari condizioni”, dato che l’art.8 prevede la diminuzione del contributo soggettivo minimo obbligatorio alla metà di quello previsto, per i primi 8 anni di iscrizione alla Cassa, stante la particolare condizione di quanti iniziano la professione.
2.4) Per quanto attiene invece alle contestazioni relative ai contenuti delle su richiamate disposizioni regolamentari, esse attingono al merito tecnico-discrezionale delle scelte autonome dell’ente e, come tali, sono inammissibili, non essendo tali scelte assoggettabili ad alcun sindacato giurisdizionale.
2.5) Nessuna violazione dell’art.21 co.9 è ipotizzabile neppure in relazione al presunto principio di infrazionabililtà dell’anno contributivo ai fini previdenziali, principio che non ha fondamento nella vigente normativa previdenziale e che non trova applicazione neppure del sistema della Gestione Separata dell’INPS (prima applicabile agli avvocati “privi di cassa”), laddove l’accredito dei contributi per l’intero anno è ammesso solo in caso di versamenti superiori ad € 4.138,60(27,72 % del minimale di reddito di € 14.930,00), mentre per contribuzioni inferiori l’accredito sarà ridotto al numero di mesi proporzionale al contributo effettivamente versato.
2.6) Infondata è la censura di violazione del principio comunitario (TUE) sulla libera concorrenza, in quanto, a dire del ricorrente, il Regolamento impugnati ntrodurrebbe un “ostacolo significativo ad una concorrenza effettiva”, e tale ostacolo sarebbe costituito dalla previsione di un obbligo contributivo a carico degli avvocati c.d. “minori” (con redditi bassi), a danno degli stessi ed a vantaggio degli altri avvocati.
Di contro va osservato innanzitutto che, così come il diritto ad un trattamento previdenziale di vecchiaia è costituzionalmente garantito a tutti i lavoratori dipendenti e autonomi (art. 38 Cost.), nel nostro ordinamento è previsto che, a fronte di tale diritto, ciascun lavoratore, autonomo o dipendente, debba farsi carico dell’onere contributivo, in tutto o in parte.
Da questa semplice considerazione è agevole concludere che, al pagamento dei contributi previdenziali per beneficiare della pensione giammai potrà essere attribuito un carattere anticoncorrenziale.
D’altronde, anche nel sistema previgente alla L. n.247/2012, gli avvocati iscritti alla Gestione Separata INPS erano tenuti a versare i contributi obbligatori, in taluni casi anche più gravosi, senza che ciò potesse configurare violazione della libera concorrenza.
Si tenga conto poi che i sistemi previdenziali, pubblico e privato, vigenti nel nostro ordinamento sono tutti ispirati al principio solidaristico, ragione per cui non può configurarsi alcuna corrispettività tra contributo versato e trattamento previdenziale.
Si tenga altresì conto che il vigente regime previdenziale della Cassa Forense è di tipo retributivo-misto, ossia attenuato da regole proprie del sistema contributivo (valido per le pensioni pubbliche), e quindi si giustifica ampiamente che, ai fini del trattamento previdenziale, si debba tener conto non soltanto dei redditi professionali prodotti, ma anche dei contributi minimi obbligatori, il cui versamento è necessario ai fini della copertura finanziaria del trattamento finale senza porre il debito previdenziale a carico di altri avvocati percettori di reddito, che sono tenuti ad una contribuzione maggiore di quella minima obbligatoria.

La problematica dell’avvio della professione senza risorse finanziarie precostituite 
(come anche nel caso di un’attività d’impresa) è poi del tutto estranea alla questione del rispetto del principio della libera concorrenza, e va affrontata nel quadro delle provvidenze e/o agevolazioni all’uopo previste (c.d. welfare attivo) per le varie categorie professionali, compresi gli avvocati.
Invero, numerose sono le iniziative concrete già assunte dalla Cassa Forense in degli avvocati, giovani e “minori”, anche in termini di istituti assistenziali (che sono assicurati fin dall’inizio dell’attività professionale).
Quindi, non essendo neppure astrattamente ipotizzabile una questione di diritto comunitario sulla violazione del principio della libera concorrenza, in relazione alle disposizioni introdotte dal Regolamento della Cassa Forense ai sensi dell’art. 21 co. 9 L.P., si deve ritenere che nella specie sono assolutamente insussistenti i presupposti per il “rinvio pregiudiziale” della questione alla Corte di Giustizia U.E. come richiesto dal ricorrente ex art.267 del TFUE.
Infatti, per consolidato insegnamento giurisprudenziale, non va sottoposta alla Corte una questione di interpretazione di norme comunitarie se la questione non è pertinente (Cons. Stato Sez. IV n.1243/2014), e cioè quando la questione non può influire sull’esito della causa (Cons. Stato Sez. V n.5649/2012 e Sez. VI n. 1192/2012).
In ogni caso va contestata l’affermazione del ricorrente secondo cui il sistema previdenziale obbligatorio della Cassa Forense, come integrato dal Regolamento ex art.21 co.9 L.P., comporti “l’impossibilità di sottrarsi ad una perdita economica irragionevole solo uscendo definitivamente dal mercato e perdendo il diritto di esercitare la professione”.
Di recente sulla questione si è già pronunciato anche questo Tribunale, nella sentenza n.5797/2016 che ha ritenuto non sussistente alcuna violazione del diritto comunitario, “poiché l’iscrizione alla Cassa non è un ostacolo alla concorrenza né crea discriminazioni tra gli operatori della medesima categoria professionale, una volta accertato che tale iscrizione è obbligatoria per tutti costoro e che, come visto, il regolamento di attuazione prevede una disciplina più leggera per chi trovasi in condizioni economiche meno favorevoli (per minore volume di affari e per minore anzianità di iscrizione, quindi, presumibilmente, con minor capacità economica)”.

2.7) Assolutamente infondata, se non addirittura gratuita, è la censura di eccesso di potere (per sviamento), a carico del Regolamento de quo, che avrebbe lo scopo di “favorire le dimissioni degli avvocati minori” attraverso una contribuzione agevolata, limitata nel tempo. L’affermazione non ha alcun benché minimoriscontro e principio di prova, ed appare frutto di una lettura/interpretazionecapziosa del Regolamento stesso, che persegue invece la finalità di dare attuazione al disposto dell’art. 21 co.8-9 L.P. nell’esercizio dei poteri autonomi che competono all’ente erogatore della previdenza forense, e nel rispetto delle regole che disciplinano
 il relativo sistema.
Anzi si può ritenere che la creazione di una posizione previdenziale privata ed unitaria anche per gli avvocati con redditi bassi rafforzi la loro posizione professionale, in quanto li ricomprende in un sistema di tipo solidaristico, che eroga anche numerose provvidenze di tipo assistenziale e comunque garantisce un trattamento previdenziale finale.
2.8) Assolutamente infondata e neppure configurabile è poi la censura di eccesso
di potere, perché l’obbligo di iscrizione alla previdenza forense prescritto della disciplina normativa e regolamentare in contestazione non sarebbe bilanciato dalla garanzia da parte dell’ente circa la sua solvibilità, che richiede una stabilità economico-finanziaria di lungo periodo.
Senza voler entrare nel merito della questione, si può solo osservare che una assoluta stabilità finanziaria di lungo periodo non può essere garantita da nessun sistema previdenziale, neppure e tanto meno dal sistema pubblico.
Vero è che, ad oggi, la sostenibilità finanziaria a 50 anni della Cassa Forense è stata già testata dai Ministeri vigilanti sulla base dei bilanci presentati e, alla stregua del consistente patrimonio finanziario e delle riserve annualmente costituite, Cassa Forense non presenta rischi di squilibri finanziari che possano preoccupare i ricorrenti.
Peraltro, secondo il regime in vigore (retributivo-misto), la pensione del ricorrente sarà finanziata dai contributi versati, mentre diversamente dovrebbe essere posta a carico delle contribuzioni di altri colleghi.

3) Sulla legittimità costituzionale dell’art. 21 co.8-9-10 L.P.
Assolutamente infondate sono tutte le censure di illegittimità costituzionale dell’art. 21 co.8-9-10 L.P. da cui deriverebbe l’illegittimità dell’impugnato Regolamento della Cassa Forense, emanato in applicazione di detta normativa.
Non sussiste violazione del principio di legalità sostanziale, perché l’ordinamento vigente attribuisce alla Cassa Forense l’autonomia nella determinazione dei contributi previdenziali e della relativa disciplina, fissando anzi l’obbligo di riscossione di detti contributi da parte dei propri iscritti (oggi tutti gli avvocati).
D’altronde i Regolamenti della Cassa Forense sono sottoposti al vaglio dei Ministeri vigilanti e quindi ad un controllo pubblico (che non dà certo spazio a discipline arbitrarie).
Non sussiste violazione dei principi comunitari della concorrenza, dato che è assolutamente abnorme e fuori da ogni realtà, ritenere che i provvedimenti dell’ente previdenziale possano avere l’ “effetto di restringere la concorrenza” o addirittura “ledere la dignità morale dei soggetti” abilitati alla professione.
La disciplina normativa in questione non viola quindi né il canone di ragionevolezza ed equità, né il principio di eguaglianza, né il principio di proporzionalità.
Se, in base all’art. 33 Cost. per l’abilitazione all’esercizio della professione è prescritto un esame di Stato, ciò non significa che i soggetti che esercitano l’attività professionale possono essere esentati dal pagamento dei contributi previdenziali, a fronte del loro diritto al trattamento pensionistico (art. 38 Cost.).
Tale regola vale per tutti gli avvocati (come per gli altri liberi professionisti) e la graduazione quantitativa e temporale della contribuzione dovuta è espressione della necessità di agevolare alcune fasce categoriali, sia nell’accesso che nella permanenza nella professione.
Avere l’abilitazione è condizione necessaria, ma non sufficiente, per poter esercitare la libera professione ed anche quella forense, ed esercitare la professione significa svolgere attività dietro compenso, con gli oneri connessi.
D’altronde, anche per il codice deontologico forense -che sanziona le condotte scorrette- chi esercita la professione forense deve adempiere agli obblighi fiscali e previdenziali, come previsti dalle norme vigenti.

Asserire poi che il contributo minimo richiesto agli avvocati “minori” sarebbe di “elevata entità” appare del tutto irrealistico, posto che l’onere annuale equivale circa ad € 2,50 al giorno.
La normativa contestata dunque, lungi dal violare, è anzi pienamente in linea con i dettami costituzionali.
Non si comprende poi come possa ipotizzarsi una violazione del principio di uguaglianza sostanziale da parte di una disciplina normativa e regolamentare che ha giustamente differenziato l’ammontare dei contributi minimi dovuti a seconda della differente condizione economica posseduta dai vari iscritti.
Non è ragionevole poi affermare che la disciplina contestata avrebbe “imposto” un “obbligo di successo professionale” a carico di avvocati “disoccupati”, per la semplice considerazione che nella libera professione l’affermazione professionale e la produzione di reddito dipendono dalla capacità lato sensu del professionista (sul quale inevitabilmente possono ricadere anche i rischi della riduzione dell’attività e di reddito).
Si precisa infine che comunque ad oggi nelle cause similari promosse da altri avvocati, i Tribunali si sono sempre pronunciati in senso favorevole alla legittimità dell’art. 21 della legge 247/2012 e del relativo Regolamento di attuazione emanato dalla Cassa: cfr. Trib. Roma n.678/2016; Trib. Roma n.5797/2016; Trib. Chieti n.103/2016; Trib. La Spezia n.360/2015; Trib. Tivoli n.653/2016; Trib. Tivoli n.983/2016; Trib. Modena ordinanza 24.02.2016; Trib. Vallo della Lucania ordinanza 13.06.2016; Trib. Caltagirone ordinanza 29.02.2016; Trib. Castrovillari ordinanza 19.05.2015; Trib. Udine decreto n.1116/ 2015).

P.Q.M.
il C.N.F., in persona del suo Presidente p.t., come rappresentato e difeso, intervenendo
nel presente giudizio,

chiede

- previo rigetto dell’istanza di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE alla Corte di Giustizia U.E., così come formulata dal ricorrente;
- il rigetto delle questioni di legittimità costituzionale proposte a carico dell’art.21 co.8-9-10 della L. n.247/2012, per manifesta irrilevanza ed infondatezza; ed
- il rigetto del ricorso, in quanto inammissibile ed infondato.

Con ogni altra conseguenza di legge.
Ai fini del t.u. spese di giustizia si dichiara che per il presente atto di intervento non è dovuto il contributo unificato, posto che esso non contiene domande nuove, né modifica il valore della causa.
Si producono:
- copia notificata del ricorso;
- copia atti del fascicolo di causa dinanzi al TAR Lazio: Rg.n. 13450/2014.
Roma, 29 dicembre 2016
Avv. 






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