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Almamegretta - Figli di annibale: quindi siamo tutti un pò africani? Pure i milanesi? Pure Salvini ?





















Almamegretta - Figli di annibale


"Figli di Annibale, figli di Africa. Annibale sconfisse i romani
Eppure Annibale attraversò le alpi con novantamila uomini africani.
Annibale sconfisse i romani, restò in Italia da padrone per quindici o vent'anni
ecco perché molti italiani hanno la pelle scura, ecco perché molti italiani hanno i capelli scuri, ecco perché molti italiani hanno gli occhi scuri, ecco perché molti italiani hanno la pelle scura. 
Un po' del sangue di Annibale è rimasto a tutti quanti nelle vene.



"Figli di Annibale, figli di Africa. Annibale sconfisse i romani.

Annibale attraversò le alpi con novantamila uomini africani.

Annibale sconfisse i romani, restò in Italia da padrone per quindici o vent'anni.

ecco perché molti italiani hanno la pelle scura, ecco perché molti italiani hanno i capelli scuri, ecco perché molti italiani hanno gli occhi scuri, ecco perché molti italiani hanno la pelle scura.

Un po' del sangue di Annibale è rimasto a tutti quanti nelle vene.

Un po' del sangue di Annibale è rimasto a tutti quanti nelle vene.

Nessuno può dirmi stai dicendo una menzogna, no, nessuno può dirmi stai dicendo una menzogna. Ecco perchè se conosci la tua storia sai da dove vieni."






Testo Figli Di Annibale

Africa Africa Africa Africa Africa
Africa Africa Africa
Africa Africa Africa Africa Africa
Africa Africa Africa

Annibale, Annibale grande generale nero 
Annibale, Annibale grande generale nero
con una schiera di elefanti attraversasti le alpi e ne uscisti tutto intero
a quei tempi gli europei non riuscivano a passarle neanche a piedi ma tu Annibale, Annibale grande generale nero tu le passasti con un mare di elefanti.
Lo sapete quanto sono grandi, grossi e lenti gli elefanti?
Elefante di Catania
La traversata del Rodano dell'armata di Annibale
(disegno di 
Henri Motte del 1878) | via Wikipedia 


Lo sapete quanto sono grandi, grossi e lenti gli elefanti? 
Eppure Annibale gli fece attraversare le alpi con novantamila uomini africani. 
Annibale sconfisse i romani, restò in Italia da padrone per quindici o vent'anni
ecco perché molti italiani hanno la pelle scura, ecco perché molti italiani hanno i capelli scuri, ecco perché molti italiani hanno gli occhi scuri, ecco perché molti italiani hanno la pelle scura. 

Un po' del sangue di Annibale è rimasto a tutti quanti nelle vene. 
Un po' del sangue di Annibale è rimasto a tutti quanti nelle vene.
Nessuno può dirmi stai dicendo una menzogna, no, nessuno può dirmi stai dicendo una menzogna.
Se conosci la tua storia sai da dove viene il colore del sangue che ti scorre nelle vene, se conosci la tua storia sai da dove viene il colore del sangue che ti scorre nelle vene.
Durante la guerra pochi afroamericani riempirono l'Europa di
bambini neri, cosa credete potessero mai fare in venti anni di dominio militare un'armata di africani in Italia meridionale? Un'armata di africani in Italia meridionale.
Ecco perché
Ecco perché
Ecco perché
Ecco perché noi siamo figli di Annibale, noi siamo tutti quanti figli di Annibale, capelli neri, figli di Annibale, la pelle scura, figli di Annibale, con gli occhi neri, figli di Annibale, meridionali figli di Annibale, sangue mediterraneo, figli di Annibale, sangue mediterraneo, figli di Annibale.
Figli di Annibale, sangue di Africa 

Figli di Annibale, sangue di Africa
Figli di Annibale, sangue di Africa
Figli di Annibale, sangue di Africa
Africa Africa Africa Africa Africa
Africa Africa Africa.




Fonte: Angoli testi.it www.angolotesti.it/A/testi_canzoni_almamegretta_1936/testo_canzone_figli_di_annibale_57161.html




Nina Hagen - African Reggae










Annibale Barca
Mommsen p265.jpg
Un busto di marmo, ritenuto di Annibale, ritrovato a Capua; alcuni storici hanno messo in dubbio la sua autenticità[1].
247 a.C. – 183 a.C.
Nato aCartagine
Morto aLybissa
Cause morte: suicidio con veleno

Via Wikipedia:
Annibale Barca (in latinoHannibal; in greco anticoἉννίβαςHanníbasCartagine247 a.C. – Lybissa183 a.C.) è stato un condottiero e politico cartaginese, famoso per le sue vittorie durante la seconda guerra punica e definito da Theodor Mommsen "il più grande generale dell'antichità"[5].
Figlio del comandante Amilcare Barca e fratello maggiore di Asdrubale, Annibale, sin da piccolo profondamente nemico di Roma e deciso a combatterla, concepì ed eseguì un audace piano di guerra per invadere l'Italia. Marciando dalla Spagna, attraverso i Pirenei e le Alpi, scese nella penisola, dove sconfisse le legioni romane in quattro battaglie principali: battaglia del Ticino (218 a.C.), battaglia della Trebbia (218 a.C.), battaglia del lago Trasimeno (217 a.C.), battaglia di Canne (216 a.C.) – e in altri scontri minori.
Dopo la battaglia di Canne i Romani evitarono altri scontri diretti e gradualmente riconquistarono i territori del sud Italia di cui avevano perso il controllo. La seconda guerra punica terminò con l'attacco romano a Cartagine, che costrinse Annibale al ritorno in Africa nel 203 a.C., dove fu definitivamente sconfitto nella battaglia di Zama, nel 202 a.C.
Dopo la fine della guerra Annibale guidò Cartagine per alcuni anni, ma fu costretto all'esilio dai Romani e nel 195 a.C. si rifugiò dal re seleucide Antioco III in Siria, dove continuò a propugnare la guerra contro Roma. Dopo la sconfitta di Antioco III si trasferì dal re Prusia I, in Bitinia. Quando i Romani chiesero a Prusia la sua consegna, Annibale preferì suicidarsi; era il 183 a.C.
Dotato di grandi capacità tattiche e strategiche, avveduto e sagace, Annibale, dopo le impressionanti vittorie iniziali, continuò a battersi tenacemente in Italia per oltre 15 anni con il suo piccolo esercito di veterani isolato in territorio nemico, cercando fino all'ultimo di contrastare il predominio di Roma. Per le straordinarie qualità dimostrate durante la sua carriera militare, Annibale è considerato uno dei più grandi generali e strateghi della storia,  accostato ad Alessandro MagnoGiulio Cesare e Napoleone.

Gli anni trascorsi nell'Italia meridionale (215-203 a.C.)


Annibale dovette rinunciare a grande manovre offensive e limitarsi a controllare le principali città dell'Italia meridionale. Non riuscì più a costringere i suoi nemici ad una nuova grande battaglia campale.
Annibale cercò inizialmente di sfruttare la grande vittoria di Canne; inviò a Cartagine il fratello Magone per illustrare i brillanti successi raggiunti e richiedere rinforzi, i dirigenti della città, preoccupati per la situazione in Spagna, si limitarono ad inviare un piccolo contingente di cavalleria. Il condottiero cartaginese nel 215 a.C. tentò di estendere il suo dominio in Italia meridionale ma subì alcuni insuccessi nel tentativo fallito di occupare Nola difesa dal tenace Marco Claudio Marcello. Egli cercò anche di organizzare una grande coalizione internazionale contro Roma e concluse un importante trattato di alleanza con Filippo V di Macedonia, Annibale inoltre entrò in contatto anche con gli inviati del giovane re di SiracusaGeronimo, che sembrava disposto a cooperare nella lotta contro Roma.

Campagna di Annibale in Campania nel 214 a.C.
Nel 214 a.C. Annibale occupò il Bruzio e conquistò gli importanti porti di Locri e Crotone da dove sperava di poter entrare in contatto con la madrepatria, ma un nuovo attacco a Nola venne respinto da Claudio Marcello; nel 213 a.C. la situazione sembrò volgere nuovamente a favore di Cartagine: Siracusa ruppe l'alleanza con Roma e l'intera Sicilia si ribellò; Annibale riuscì a conquistare, grazie alla collaborazione di una fazione della città, la colonia greca di Taranto, anche se la rocca che controllava l'importante porto, rimase in mano ai Romani. Nel 212 a.C. il centro delle operazioni divenne Capua dove i Romani concentrarono sei legioni per assediare e riconquistare la città: la situazione del cartaginese divenne più difficile. Annibale continuò tuttavia a battersi coraggiosamente e raggiunse altre vittorie locali[114]; dall'Apulia ritornò in Campania in soccorso di Capua; il pretore Tiberio Sempronio Gracco venne ucciso in un agguato, due formazioni legionarie romane furono distrutte nelle battaglie; i romani sospesero temporaneamente l'assedio di Capua.
Nel 211 a.C. tuttavia le legioni romane, in assenza di Annibale, ritornarono ad assediare Capua la cui situazione divenne drammatica. Annibale rientrò ancora in Campania, ma dopo soli cinque giorni, temendo che a Capua potesse trovarsi intrappolato dall'arrivo dei nuovi consoli, che lo avrebbero così tagliato fuori dai necessari rifornimenti, giunse alla conclusione che era impossibile sbloccare un simile assedio con un attacco di forza. La soluzione che egli escogitò fu quella di marciare in modo rapido e inaspettato contro Roma stessa, «che era il centro della guerra», provocando negli abitanti un tale spavento, da indurre Appio Claudio a sbloccare l'assedio e correre in aiuto della patria, oppure dividere il proprio esercito, nel qual caso sia le forze inviate a Roma in aiuto, sia quelle lasciate a Capua sarebbero state facilmente battibili.
«[...] il desiderio di una tale impresa non lo aveva mai abbandonato. [...] Annibale non si nascondeva dall'essersi lasciato sfuggire l'occasione dopo la battaglia di Canne»
(Livio, XXVI, 7.3.)
La marcia proseguì attraverso il Sannio ed arrivò a tre chilometri dalla città sperando in questo modo di alleggerire la situazione di Capua. L'improvvisa avanzata del cartaginese provocò il panico nella popolazione, ma, non disponendo delle forze e dell'equipaggiamento per un lungo assedio, egli ben presto dovette ritirarsi nuovamente. Tito Livio nel suo resoconto di questa famosa incursione di Annibale fino alle porte di Roma (Hannibal ad portas) inserisce elementi scarsamente attendibili su eventi climatici soprannaturali che avrebbero scosso la risolutezza del condottiero e riferisce del comportamento impavido del Senato di Roma. In realtà Annibale, avendo raccolto un notevole bottino dopo il saccheggio del territorio intorno a Roma e ritenendo che il suo piano per distrarre le legioni romane dall'assedio di Capua fosse sostanzialmente fallito, decise autonomamente di ritornare in Campania. Il condottiero cartaginese inflisse una sconfitta alle truppe romane che, al comando del console Publio Sulpicio Galba Massimo, lo avevano seguito,ma non poté più impedire la caduta di Capua. Nella città campana, le autorità ritennero impossibile prolungare la resistenza; ritenendo che Annibale non potesse più portare aiuto e sperando nella clemenza di Roma, decisero di arrendersi. La repressione di Roma fu spietata: i nobili campani vennero in buona parte giustiziati e tutti gli abitanti vennero venduti come schiavi; Capua, ridotta in rovina, venne trasformata in borgo agricolo sotto il controllo di un prefetto romano. La brutale vendetta di Roma fece vacillare la decisione delle altre popolazioni vicine.
Nel 210 a.C., Annibale non riuscì più a sferrare grandi offensive, e Roma, attenendosi ai principi tattici di Fabio Massimo, continuò a contendere territorio e risorse al cartaginese senza farsi coinvolgere in grandi battaglie campali. Così Tito Livio descrive il particolare momento della guerra in corso ormai da otto lunghi anni:
«Non vi fu un altro momento della guerra nel quale Cartaginesi e Romani [...] si trovarono maggiormente in dubbio tra speranza e timore.
Infatti, da parte dei Romani, nelle province, da un lato in seguito alle sconfitte in Spagna, dall'altro per l'esito delle operazioni in Sicilia (212-211 a.C.), vi fu un alternarsi di gioie e dolori. In Italia, la perdita di Taranto generò danno e paura, ma l'aver conservato il presidio nella fortezza contro ogni speranza, generò grande soddisfazione (212 a.C.). L'improvviso sgomento ed il terrore che Roma fosse assediata ed assalita, dopo pochi giorni svanì per far posto alla gioia per la resa di Capua (211 a.C.). Anche la guerra d'oltre mare era come in pari tra le parti [...]: [se da una parte] Filippo divenne nemico di Roma in un momento tutt'altro che favorevole (215 a.C.), nuovi alleati erano accolti, come gli Etoli ed Attalo, re dell'Asia, quasi che la fortuna già promettesse ai Romani l'impero d'oriente.
Anche da parte dei Cartaginesi si contrapponeva alla perdita di Capua, la presa di Taranto e, se era motivo per loro di gloria l'essere giunti fin sotto le mura di Roma senza che nessuno li fermasse, sentivano d'altro canto il rammarico dell'impresa vana e la vergogna che, mentre si trovavano sotto le mura di Roma, da un'altra porta un esercito romano si incamminava per la Spagna. La stessa Spagna, quando i Cartaginesi avevano sperato di portarvi a termine la guerra e cacciare i Romani dopo aver distrutto due grandi generali (Publio e Gneo Scipione) e i loro eserciti, [...] la loro vittoria era stata resa inutile da un generale improvvisato, Lucio Marcio.
E così, grazie all'azione equilibratrice della fortuna, da entrambe le parti restavano intatte le speranze ed il timore, come se da quel preciso momento dovesse incominciare per la prima volta l'intera guerra.»
(Livio, XXVI, 37.)
Annibale era particolarmente angosciato dal fatto che Capua, assalita dai Romani con maggior decisione di quanto non fosse stata difesa, aveva allontanato dai Cartaginesi molte popolazioni dell'Italia meridionale. Del resto egli non avrebbe potuto mantenerle in suo potere distribuendo tra loro le dovute guarnigioni, poiché questo avrebbe frantumato l'esercito in numerose e piccole parti, esponendolo ad un attacco congiunto delle forze romane. D'altro canto, ritirando i presidi, avrebbe perduto la fedeltà degli alleati. Fu così che preferì saccheggiare quelle città che non poteva difendere per abbandonare ai nemici solo luoghi devastati.[125] Egli infatti, quello stesso anno, ottenne ancora una vittoria, ad Herdonia(oggi Ordona, in Apulia), dove sconfisse un altro esercito proconsolare, ma che non influì sul corso della guerra in corso. Quinto Fabio Massimo, nonostante i suoi quasi settant'anni, assalì Taranto che espugnò l'anno successivo. Qui 30.000 dei suoi abitanti furono venduti come schiavi. Era il 209 a.C. e Roma, con 10 delle sue 21 legioni attive (parie 100.000 cittadini circa ed altrettanti alleati), continuava la graduale riconquista del Sannio e della Lucania.
Nel 208 a.C. i nuovi consoli, l'esperto Marco Claudio Marcello, la "spada di Roma" e conquistatore di Siracusa,[126] e Tito Quinzio Crispino, sembrarono decisi finalmente ad attaccare in campo aperto Annibale in quel momento accampato con il suo esercito a Venosa; ma il cartaginese si dimostrò ancora una volta superiore: i due consoli furono attirati in un'imboscata, Marcello venne ucciso sul posto e Crispino mortalmente ferito. L'esercito romano, rimasto senza capi, batté in ritirata. Annibale subito accorse a Locri nel Bruzio dove disperse le forze romane che l'assediavano; cadde prigioniero anche il comandante romano, il futuro storico Lucio Cincio Alimento; la campagna del 208 a.C. si chiuse favorevolmente per il condottiero cartaginese.
Nel 207 a.C. sembrò che finalmente la madre patria avesse deciso di fornire importanti aiuti ad Annibale; il fratello Asdrubale riuscì a superare l'opposizione del giovane Publio Cornelio Scipione e marciò dalla Spagna fino in Italia dopo aver attraversato le Alpi. Annibale, informato dell'arrivo del fratello, dal Bruzio mosse verso nord; il console Gaio Claudio Nerone non riuscì a bloccarlo e il condottiero raggiunse con il suo esercito l'Apulia, dove sperava di riuscire a concertare un ricongiungimento con un esercito cartaginese che stava discendendo l'Italia agli ordini del fratello[128]. In realtà i romani intercettarono i messaggeri inviati da Asdrubale e quindi Annibale rimase all'oscuro delle sue intenzioni e rimase fermo in Apulia; il console Nerone con abile manovra tenne impegnato Annibale mentre con una parte delle sue forze marciò a nord dove insieme all'altro console Livio Salinatore sconfisse Asdrubale nella battaglia del Metauro[129]. Il fratello di Annibale venne ucciso e la sua testa venne gettata nell'accampamento cartaginese.
Annibale decise quindi di ritornare nelle montagne del Brutium dove era intenzionato a perseverare e resistere. Il fratello superstite Magonevenne fermato in Liguria 205 a.C. – 203 a.C. e l'alleanza con Filippo V di Macedonia non gli portò alcun vantaggio a causa del tempestivo intervento della flotta e dell'esercito romano in Grecia.
Dal 205 al 203 a.C. Annibale rimase praticamente bloccato nel Bruzio; egli difese tenacemente le sue ultime posizioni; non poté impedire la caduta di Locri ma i comandanti romani, ancora intimoriti dalla sua impressionante reputazione, rinunciarono ad attaccarlo. Dopo il fallimento di Magone in Liguria nel 203 a.C. e le vittorie di Cornelio Scipione in Africa, giunse l'ordine da Cartagine di ritornare in patria e infine nell'autunno 203 a.C. Annibale dovette abbandonare l'Italia portando con sé i suoi veterani e i volontari italici disposti a seguirlo. Egli era consapevole da tempo che la sua lunga campagna nella penisola era fallita; fin dal 205 a.C. aveva fatto incidere, secondo la tradizione dei condottieri ellenistici, un'iscrizione in bronzo al Tempio di Hera a Capo Lacinio dove venivano descritte le sue imprese in Italia.
La capacità di Annibale di rimanere in campo per quindici anni senza soste in Italia in mezzo agli eserciti nemici, nell'ostilità della popolazione, senza mezzi e aiuti adeguati; le sue quasi continue vittorie in grandi battaglie campali e in numerosi scontri minori e soprattutto la capacità del condottiero cartaginese di mantenere sempre la coesione e la fedeltà delle sue truppe nel corso dell'interminabile ed estenuante campagna, sono state considerate da Polibio i maggiori successi della sua carriera militare[134]. Anche Theodor Mommsen ha espresso grande ammirazione per la capacità di Annibale per oltre dieci anni di combattere una guerra difensiva di logoramento contro un gran numero di eserciti nemici; lo storico tedesco ritiene "meraviglioso" che il condottiero cartaginese sia riuscito a combattere con "eguale perfezione" due tipi di guerra completamente diversi: l'audace campagna offensiva dei primi anni in Italia e le lunghe operazioni difensive dal 215 al 203 a.C..






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«La differenza tra le persone sta solo nel loro avere maggiore o minore accessoalla conoscenza» (Lev Tolstoj)

La rassegna stampa è una sintesi e fornisce i riferimenti dell'articolo (testata, autore, titolo) per reperire sul quotidiano o altra fonte l'articolo completo. 

Si declina ogni responsabilità per errori od omissioni, nonché per un utilizzo improprio delle immagini o non aggiornato delle notizie e delle informazioni.




Gabriella Filippone Blog | Giuridica News | Rassegna news giuridiche Avv. Gabriella Filippone






giovedì 31 gennaio 2019


"SAI QUANTI NE MUIONO DI OVERDOSE A BOLOGNA?"

L'immagine può contenere: 3 persone, persone sedute e cavallo
Mio fratello da giovane. In foto il primo a sinistra.
















Nessuna descrizione della foto disponibile.L'immagine può contenere: una o più persone e primo pianoL'immagine può contenere: una o più persone e primo piano






  • Mietta Cesaroni Ma perché cosa è successo?

  • Gabriella Filippone Morte/suicidio per overdose - e con i nordafricani o chissà di dove cazzo erano, cmq africani, in casa - che gli procuravano la cocaina. In casa abbiamo trovato siringhe anche dentro ai libri e nella spazzatura. il portafogli non c'era. Sparito con glispacciatori. Il tutto dopo una luna convivenza di una con una certa dottoressa Pesci Paola, che si drogava, arrivava fatta al lavoro anche al pronto soccorso ed ha approfittato del suo status di medico di abusare della fiducia di mio fratell per ucciderlo di dosi massicce di psicofarmaci. Mio fratello era vittima della dipendenza. A Bologna probabilmente è normale lavorare in certe condizioni al Pronto soccorso ed indurre qualcuno ad uccidersi di psico-farmaci. Mi raccontava la Pesci che il padre era radiologo di ospedale e la scaraventò per terra dalla culla perché piangeva e lui non riusciva a dormire e riposare per lavorare il giorno dopo in ospedale. SHOCCATA da neonata. Con questa gente ha avuto a che fare mio fratello. Spacciatori extracomunitari e dottoressa bastarda shoccata di "pura razza italiana".




Gabriella Filippone con gli africani ci parlai solo per telefono perché cercavo disperatamente mio fratello. mi fu detto che mio fratello non era in casa ERA FUORI e che glielo avrebbero detto della mia chiamata appena rientrava. Chiamai la Questura di Bologna. Li misi al corrente. L'operatore mi disse che era di loro copetenza, che dovevo chiamare la Questura di Pescara. BALLE STRATOSFERICHE: il fatto stava accadendo a Bologna. Mi dissero che sarebbero potuti intervenire solo dopo che chiamavo la Questura di Pescara, non prima. Pensai che forse stavo esagerando e non chiami la Questura di Pescara. Peraltro per quanto ne sapevo spettava alla Questura di Bologna intervenire immediatamente. Poche ore dopo chiama la Questura di Bologna: avevano ricevuto una chiamata, c'era un morto in via Santo Stefano. Mio fratello era morto sul suo letto. Gli spacciatori erano già andati via dopo aver curato di sfilargli il portafoglio. "SAI QUANTI NE MUOIONO A BOLOGNA DI OVERDOSE?" Bene bene: viva le Forze di Polizia, viva le dottoresse drogate assassine ed autistiche. Sai ne continureranno a trovare a Bologna di morti di overdose? Una marea di morti di qualunque ceto sociale, non ha importanza per nessuno.




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