sabato 21 febbraio 2015

RICORSO AVVERSO IL REGOLAMENTO CD. BONIFICA ALBO AVVOCATI


RICORSO AVVERSO IL REGOLAMENTO CD. BONIFICA ALBO AVVOCATI

Pubblico quanto comunicatomi dai Colleghi.

Immagine | via wikimedia

"Comunichiamo che l'Insorgenza Forense ha ultimato di redigere il Ricorso avverso il Regolamento attuativo ex art. 21, commi 1 e seguenti, Legge n° 247/2012 (Regolamento c.d. Bonifica Albo). 

Associazioni, Movimenti, singoli, che vogliono concretamente avversare il "razzismo censitario" normativamente introdotto contattino il gruppo facebook  "AVVOCATURA LIBERA dai contributi minimi obbligatori ed altre vessazioni" 




"Rivolgiamo in quanto Umanisti il seguente Ultimatum: "Vertici del Sinedrio Forense ritirate e fate ritirare tutti i provvedimenti tesi alla pulizia discriminatoria/razzistico-reddituale in danni di 180 mila Avvocati. Rinsavite finché siete in tempo!"


"Insorgenza forense" è un movimento spontaneo di singoli e associazioni, che così viene definito:

"L'insorgenza Forense è un dato fenomenologico, non è un dato istituzionale. Un sociologo chiamerebbe l'aggregato di singoli e associazioni che combattono la normativa ammazza-avvocati con un nome sintetico. I Redattori del Ricorso sentono di essere parte di una ampia Comunità di Liberi Avvocati e hanno scelto il nome di "Insorgenza Forense" per esprimere che sono al servizio esclusivo del Popolo dell'Avvocatura senza settarismi e senza primazie di sorta. Auspicano l'Unità della Categoria ma non la ricercano. Non sono dei Politici ma si impegnano con gli atti giudiziari a difesa di ogni singolo Avvocato a perseguire fini politici nelle aule di giustizia, quei fini politici di tutela della professione che nelle aule del Potere le associazioni politiche e istituzionali forensi non ottengono o non vogliono ottenere".



Si riporta un brevissimo passaggio del Ricorso avverso li Regolamento attuativo ex art. 21 comma 1, Legge n° 247/2012


"Per chi vuole "bonificare" l'Albo dagli Avvocati ad pompam : " L’autorità amministrativa è tenuta al risarcimento del danno non patrimoniale, laddove pervicacemente e reiteratamente in modo illegittimo abbia inciso negativamente su un diritto costituzionalmente tutelato quale il diritto al lavoro (art. 4 Cost.), alla reputazione ed alla immagine (riconducibili, questi ultimi, entro l'alveo dei diritti inviolabili dell'uomo di cui all'art. 2 Cost.) con una lesione di carattere non patrimoniale che si connota in termini di ingiustizia ex art. 2043 c.c., serietà dell'offesa e gravità delle conseguenze che ne sono derivate nella sfera personale ben oltre la soglia della normale tollerabilità, così comportando un peggioramento della qualità della vita a causa della forzata rinuncia ad attività non remunerative fonti di benessere per il danneggiato e determinando altresì ripercussioni relazionali di segno negativo tali da capovolgere o quantomeno modificare in peggio l'esistenza del soggetto".
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A cura di Gabriella Filippone - Sebbene il regolamento sia ancora in bozza, i Colleghi non sono rimasti ad attendere con le mani in mano e hanno già predisposto un ricorso avverso il Regolamento attuativo ex art. 21, commi 1 e seguenti, Legge n° 47/2012 (Regolamento cd. Bonifica Albo), da presentare nel caso in cui la bozza ministeriale verrà approvata. 


Sul punto osservano i Colleghi che anche il regolamento previdenziale istitutivo dei contributi minimi obbligatori, uscito in bozza a dicembre 2013, è poi rimasto praticamente quello, più o meno invariato. Comunque le ultime news ufficiose (molto attendibili) parlano di regolamento in G.U. a maggio 2015.



Indico di seguito, in sintesi, i requisiti elencati nella bozza del regolamento.



La professione forense si ritiene esercitata in modo effettivo, continuativo, abituale e prevalente quando l’avvocato:

a) è titolare di una partita IVA attiva;

b) ha l’uso di locali e di almeno un’utenza telefonica destinati allo svolgimento dell’attività professionale, anche in associazione professionale, società professionale o in associazione di studio con altri colleghi;

c) ha trattato almeno cinque affari per ciascun anno, anche se l’incarico professionale è stato conferito da altro professionista;

d) è titolare di un indirizzo di posta elettronica certificata, comunicato al consiglio;

e) ha assolto l’obbligo di aggiornamento professionale;

f) ha in corso una polizza assicurativa a copertura della responsabilità civile derivante dall’esercizio della professione;

g) ha corrisposto i contributi annuali dovuti al consiglio dell’ordine;

h) ha corrisposto i contribuiti dovuti alla Cassa di Previdenza Forense.

 I requisiti previsti  devono ricorrere tutti congiuntamente.





La mancanza dell’esercizio effettivo, continuativo, abituale e prevalente della professione comporta la cancellazione dall'albo. Dalla lettura dei   requisiti consegue dunque che se non si pagano i contributi all'Ordine ed alla Cassa si viene cancellati. 


Così è nella bozza di regolamento, alla sezione "Relazione illustrativa", che letteralmente stabilisce, alla lettera g):

"aver corrisposto i contributi annuali dovuti al consiglio dell’ordine e alla cassa di previdenza forense, dal momento che il versamento di tali contributi, per un verso, è essenziale per il funzionamento dei predetti enti e, per l’altro, è indice della presenza di un sia pur minimo volume di affari;


E’ specificato che i requisiti appena esposti devono ricorrere congiuntamente, cioè che l’esercizio della professione può dirsi effettivo esclusivamente se sussistono tutti."



Sull'argomento vedi: 




Il Collega Berti: "Dal Ricorso avverso il Regolamento c.d. Bonifica Albo: "Con riguardo al danno non patrimoniale osserva Cass. civ., Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972: "Il danno non patrimoniale derivante dalla lesione di diritti inviolabili della persona (fra cui rientra il diritto di lavorare ed esercitare la professione forense a seguito di regolare abilitazione previo superamento dell'Esame di Stato, N.D.R.), come tali costituzionalmente garantiti, è risarcibile - sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c. - anche quando non sussiste un fatto-reato, né ricorre alcuna delle altre ipotesi in cui la legge consente espressamente il ristoro dei pregiudizi non patrimoniali, a tre condizioni: (a) che l'interesse leso - e non il pregiudizio sofferto - abbia rilevanza costituzionale (altrimenti si perverrebbe ad una abrogazione per via interpretativa dell'art. 2059 c.c., giacché qualsiasi danno non patrimoniale, per il fatto stesso di essere tale, e cioè di toccare interessi della persona, sarebbe sempre risarcibile); (b) che la lesione dell'interesse sia grave, nel senso che l'offesa superi una soglia minima di tollerabilità (in quanto il dovere di solidarietà, di cui all'art. 2 Cost., impone a ciascuno di tollerare le minime intrusioni nella propria sfera personale inevitabilmente scaturenti dalla convivenza); (c) che il danno non sia futile, vale a dire che non consista in meri disagi o fastidi, ovvero nella lesione di diritti del tutto immaginari, come quello alla qualità della vita od alla felicità.". Più di recente Cass. civ., Sez. Un., 19 agosto 2009, n. 18356 ha sottolineato che "In tema di responsabilità per fatto illecito, rientra tra i principi informatori della materia, ai quali è tenuto a uniformarsi il g.d.p. nel giudizio di equità, quello di cui al disposto dell'art. 2059 c.c. il quale, secondo una lettura costituzionalmente orientata, non disciplina un'autonoma fattispecie di illecito, produttiva di danno non patrimoniale, distinta da quella prevista dall'art. 2043 c.c., ma regola i limiti e le condizioni di risarcibilità dei pregiudizi non patrimoniali, sul presupposto dell'esistenza di tutti gli elementi costitutivi dell'illecito richiesti dall'art. 2043 c.c., con la peculiarità della tipicità di detto danno, stante la natura dell'art. 2059 c.c., quale norma di rinvio ai casi previsti dalla legge ovvero ai diritti costituzionali inviolabili, presieduti dalla tutela minima risarcitoria, e con la precisazione, in tale ultimo caso, che la rilevanza costituzionale deve riguardare l'interesse leso e non il pregiudizio in conseguenza sofferto, e che la risarcibilità del danno non patrimoniale presuppone, altresì, che la lesione sia grave e che il danno non sia futile.". Sul punto della risarcibilità del danno non patrimoniale da attività amministrativa illegittima Cons. Stato, Sez. V, 28 maggio 2010, n. 3397, approfondendo le tematiche già affrontate dalla su riportata sentenza di Cass. civ., Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972, ha rimarcato che: "..., per effetto della lettura evolutiva dell'art. 2059 c.c. fornita dalla più recente giurisprudenza della Corte di Legittimità (Cass. Civ., sez. III, 31 maggio 2003, n. 8827 e 8828; Cass. sezioni unite, 11 novembre 2008, n. 26972; 19 agosto 2009, n. 18356), il danno non patrimoniale deve ritenersi risarcibile non solo nei casi contemplati da apposita previsione di legge ma anche in caso di lesione dei valori fondamentali della persona tutelati dalle disposizioni immediatamente precettive della Carta Costituzionale. Si è in questo modo aderito ad un approccio ermeneutico che legge in senso elastico la tipicità del danno non patrimoniale risarcibile, consentendo il ristoro del danno in caso di lesione di valori costituzionali primari, oltretutto non confinabili ad un numerus clausus in quanto ricavabili, in forza della clausola aperta di cui all'art. 2 della Costituzione, in base ad un criterio dinamico che consente di apprezzare l'emersione, nella realtà sociale, di nuovi interessi aventi rango costituzionale in quanto attinenti a posizioni inviolabili della persona. L'ampliamento della categoria del danno non patrimoniale, categoria unitaria non scindibile in sottocategorie strutturalmente autonome, è tuttavia compensata, dall'introduzione di un limite ontologico e di un onere probatorio. Quanto al primo, in un quadro interpretativo attento al contemperamento tra i principi costituzionali di solidarietà e di tolleranza, il risarcimento del danno non patrimoniale costituzionalmente qualificato è stato ammesso nei soli casi in cui la lesione del diritto costituzionale sia qualificata dalla serietà dell'offesa e dalla gravità delle conseguenze nella sfera personale. Quanto al secondo aspetto la Cassazione, superando la teoria del danno evento, esige che il danneggiato fornisca la prova, oltre dell'evento dato dalla sussistenza di una lesione del diritto costituzionalmente primario che superi la soglia della tollerabilità, anche della ricorrenza di significative ripercussioni pregiudizievoli sotto il profilo del danno conseguenza.". Nel caso di specie può affermarsi che l'azione amministrativa di cui all'impugnato regolamento abbia inciso negativamente su un diritto costituzionalmente tutelato del ricorrente, quale il diritto al lavoro (art. 4 Cost.), alla reputazione ed alla immagine (riconducibili, questi ultimi, entro l'alveo dei diritti inviolabili dell'uomo di cui all'art. 2 Cost.) con una lesione di carattere non patrimoniale che si connota in termini di ingiustizia ex art. 2043 c.c., serietà dell'offesa e gravità delle conseguenze che ne sono derivate nella sfera personale del ricorrente stesso ben oltre la soglia della normale tollerabilità, così comportando un peggioramento della qualità della vita dell'odierno ricorrente a causa della forzata rinuncia ad attività non remunerative fonti di benessere per il danneggiato e determinando altresì ripercussioni relazionali di segno negativo tali da capovolgere o quantomeno modificare in peggio l'esistenza del soggetto.

Pertanto, la domanda risarcitoria azionata in uno con l'impugnativa del predetto Regolamento c.d. Bonifica Albo dal ricorrente può ritenersi supportata da adeguati elementi probatori (il cui onere evidentemente grava in pieno su parte ricorrente ai sensi dell'art. 64, comma 1 cod. proc. amm. venendo in rilievo diritti soggettivi e quindi elementi che sono nella piena disponibilità del ricorrente medesimo) in ordine ai requisiti oggettivo, soggettivo, eziologico propri dell'illecito aquiliano ex art. 2043 ed all'an del pregiudizio non patrimoniale dallo stesso patito, posto che anche la semplice e mera minaccia di "esodo forzoso" dall'Albo degli Avvocati (posizione di prestigio morale e spirituale che è il "sogno della sua vita" ha certamente, sia pure su basi presuntive fondate sull'id quod plerumque accidit, provocato uno stress ed una sofferenza (caratterizzati da serietà e gravità) nel medesimo ricorrente che si sostanzia in un danno non patrimoniale all'immagine (con la gogna dell'inserimento del proprio nominativo nell'elenco degli avvocati cancellati perché poco o per nulla "produttivi", in un discredito sul piano sociale ed altresì sul piano del curriculum dello stesso, cui si inibisce per tale motivo la possibilità di partecipare ai Concorsi di Alta Amministrazione della Giustizia (Tar Lazio: 5 anni anzianità Albo, Corte dei Conti 8 anni, etc) . Come sottolineato da Cass. civ., Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972 citata in precedenza il pregiudizio non patrimoniale diverso dal danno biologico può essere provato anche mediante il ricorso a presunzioni ("Il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno-conseguenza, che deve essere allegato e provato. Per quanto concerne i mezzi di prova, per il danno biologico la vigente normativa (art. 138 e 139 d.lg. n. 209 del 2005) richiede l'accertamento medico-legale, che non costituisce, però, strumento esclusivo e necessario; infatti, come è nei poteri del giudice disattendere, motivatamente, le opinioni del consulente tecnico, del pari il giudice può non disporre l'accertamento medico-legale, non solo nel caso in cui l'indagine diretta sulla persona non sia possibile (perché deceduta o per altre cause), ma anche quando lo ritenga, motivatamente, superfluo, e porre a fondamento della sua decisione tutti gli altri elementi utili acquisiti al processo (documenti, testimonianze), avvalersi delle nozioni di comune esperienza e delle presunzioni. Per gli altri pregiudizi non patrimoniali può farsi ricorso alla prova testimoniale, documentale e presuntiva."). Detta tematica è stata ulteriormente approfondita da Cass. civ., Sez. Un., 22 febbraio 2010, n. 4063 con riferimento ad una fattispecie (demansionamento professionale) che presenta notevoli analogie con il caso di specie, essendo equiparabile il demansionamento professionale con l'esodo forzato dall'Albo. Esodo disposto da un Coa, peraltro, composto da diretti concorrenti del professionista scrutinato che hanno un interesse notorio alla riduzione del numero degli Avvocati e che, quindi, difettano - ripetesi - (come esposto supra sub A) dei requisiti di imparzialità e indipendenza, anzi si atteggiano a Giudice speciale vietato dall'Ordinamento Democratico Costituzionale Italiano. "In tema di demansionamento e di dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, che asseritamente ne deriva - non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale - non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo, dovendo il danno non patrimoniale essere dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall'ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni, per cui dalla complessiva valutazione di precisi elementi dedotti (caratteristiche, durata, gravità, conoscibilità all'interno ed all'esterno del luogo di lavoro dell'operata dequalificazione, frustrazione di precisate e ragionevoli aspettative di progressione professionale, effetti negativi dispiegati nelle abitudini di vita del soggetto) si possa, attraverso un prudente apprezzamento, coerentemente risalire al fatto ignoto, ossia all'esistenza del danno.". Nel caso di specie il presente ricorso introduttivo contiene una specifica allegazione in ordine alla natura ed alle caratteristiche del pregiudizio non patrimoniale patito dal ricorrente. In ordine al riparto dell'onere probatorio in tema di illecito aquiliano della P.A. Cons. Stato, Sez. V, 15 settembre 2010, n. 6797 ha affermato che "La domanda di risarcimento dei danni è regolata dal principio dell'onere della prova di cui all'art. 2697 c.c., in base al quale chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento, per cui grava sul danneggiato l'onere di provare, ai sensi del citato articolo, tutti gli elementi costitutivi della domanda di risarcimento del danno per fatto illecito (danno, nesso causale e colpa); segue da ciò che il risarcimento del danno non è una conseguenza automatica e costante dell'annullamento giurisdizionale, richiedendo la positiva verifica, oltre che della lesione della situazione soggettiva di interesse tutelata dall'ordinamento, della sussistenza della colpa o del dolo dell'Amministrazione e del nesso causale tra l'illecito e il danno subito; in particolare il risarcimento del danno conseguente a lesione di interesse legittimo pretensivo è subordinato, pur in presenza di tutti i requisiti dell'illecito (condotta, colpa, nesso di causalità, evento dannoso), alla dimostrazione, secondo un giudizio di prognosi formulato ex ante, che l'aspirazione al provvedimento fosse destinata nel caso di specie ad esito favorevole, quindi alla dimostrazione, ancorché fondata con il ricorso a presunzioni, della spettanza definitiva del bene collegato a tale interesse, ma siffatto giudizio prognostico non può essere consentito allorché detta spettanza sia caratterizzata da consistenti margini di aleatorietà.". Nel caso di specie sicuramente sono integrati gli estremi della lesione della situazione soggettiva di interesse tutelata dall'ordinamento facente capo al ricorrente (diritti fondamentali al lavoro, alla reputazione, alla immagine), della sussistenza potenziale del dolo dell'amministrazione, del nesso causale tra l'illecito e il danno subito (è evidente che questa reiterata azione amministrativa illegittima è causativa, secondo l'id quod plerumque accidit, di un pregiudizio non patrimoniale alla sfera dell'odierno ricorrente). Peraltro sul punto della prova dell'elemento psicologico dell'illecito aquiliano della P.A. Cons. Stato, Sez. VI, 13 febbraio 2009, n. 775 ha affermato che: "..., in presenza di un'attività illegittima posta in essere dall'Amministrazione e foriera di danno per il privato, quest'ultimo non sarà onerato di un particolare sforzo probatorio in ordine alla sussistenza di una condotta colposa da parte dell'Amministrazione, ben potendosi limitare ad allegare la sola illegittimità del provvedimento quale elemento idoneo a fondare una presunzione (semplice) circa la colpa della P.A. In tali ipotesi, spetterà quindi all'Amministrazione fornire la prova liberatoria a contrario, dimostrando in concreto che si sia trattato di un errore scusabile, configurabile - ad es. - in caso di contrasti giurisprudenziali sull'interpretazione della norma, di formulazioni polisense di disposizioni di recente emanazione, ovvero di rilevante complessità del fatto sotteso alla determinazione amministrativa.". Quanto ai presupposti e alle condizioni necessari per ammetterne la risarcibilità, con riferimento ai danni patiti, l'orientamento prevalente dottrinario e giurisprudenziale osserva che, nel caso di procedimenti amministrativi coinvolgenti interessi - rectius diritti soggettivi inaffievolibili - di tipo oppositivo, la lesione dell'interesse implica ex se la lesione del bene della vita preesistente al provvedimento affetto da vizi di illegittimità, sicché l'accertamento della circostanza che la P.A. ha agito non iure di per se stesso implica la consolidazione di un danno ingiusto nella sfera giuridica del privato. In altri termini, la riscontrata illegittimità dell'atto rappresenta, nella normalità dei casi, l'indice della colpa dell'amministrazione, indice tanto più grave, preciso e concordante quanto più intensa e non spiegata sia l'illegittimità in cui l'apparato amministrativo sia incorso. In tale eventualità spetta all'amministrazione fornire elementi istruttori o anche meramente assertori volti a dimostrare l'assenza di colpa. Il requisito della colpa della P.A., necessario ai fini del risarcimento dei danni derivanti da lesione di interessi legittimi, sussiste ogni volta che, in assenza di cause di giustificazione legalmente tipizzate, il provvedimento annullato sia stato emanato in violazione di un canone di condotta agevolmente percepibile nella sua portata vincolante (cfr. C.G.A.R.S., 18 aprile 2006, n. 153).". Nel caso di specie l'accertamento in sede giurisdizionale della carattere "non iure et contra ius" (in contrasto coi principi fondamentali dell'oridinamento costituzionale anche dell'Unione europea e dei diritti inviolabili della dignità delle persone come ampiamente supra esposto) dell'attività amministrativa che può essere posta in essere dalla amministrazione (Coa territoriale) con consequenziale lesione dell'interesse oppositivo dell'odierno ricorrente di per sé stesso implica la consolidazione di un danno ingiusto nella sfera giuridica del ricorrente in ogni caso, anche qualora si accedesse alla tesi di un affievolimento del diritto al lavoro in interesse occasionalemente protetto. Quanto al profilo del quantum del danno non patrimoniale sofferto dal ricorrente, può farsi ricorso al criterio equitativo di cui all'art. 1226 c.c. stante l'estrema difficoltà di quantificazione dello stesso e riconoscersi al ricorrente la somma di .Euro 100.000,00 oltre rivalutazione monetaria e gli interessi legali come per legge."



Concludo con delle considerazioni del Collega Mura, in ordine all'attuale crisi dell'Avvocatura e alle misure governative in atto:


"Qualcuno lassù ci odia. Non può essere diversamente.

Vogliono farci lavorare gratis, dobbiamo fornire copie di cortesia, dobbiamo pagare servizi telematici dei quali potremmo fare a meno, dobbiamo studiare una vita per dimostrare che siamo avvocati nonostante l'esame superato, e dobbiamo pure pagare per farlo. Dobbiamo fornire preventivi su cause delle quali non sappiamo come potranno andare a finire. Dobbiamo fornire assistenza legale gratuita nel caso di negoziazione assistita obbligatoria. Dobbiamo dimostrare di svolgere la professione costantemente altrimenti ci cancellano. Dobbiamo pagare un fisso previdenziale anche se guadagniamo zero euro. Non possiamo farci pubblicità, non possiamo avere una pagina facebook dello Studio legale, non possiamo neanche mettere il nostro indirizzo email in una rubrica che parla di diritto. Ci odiano follemente!"



 Gabriella Filippone Blog

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